12 luglio 2020   Articoli

Riforme, il coraggio delle scelte

Amedeo Lepore - Il Mattino

Un interrogativo si aggira per l’Europa: dopo la pandemia tutto tornerà come prima? Questo dubbio è alimentato dalla chiusura di alcuni Paesi nella difesa miope dei loro interessi particolari e dall’amplificazione in altri di una singolare incongruenza tra l’esigenza di riforme di fondo e la concreta possibilità di attuarle in tempi rapidi. 

La risposta immediata all’emergenza andava riservata alla tutela delle persone e al sostegno dei redditi, ma ora si avverte tutta l’inderogabile connessione tra i rimedi di breve periodo e le terapie di media-lunga durata. Come ha scritto Joseph Stiglitz in un recente articolo, vanno adottati “programmi di ripresa di grandi dimensioni e sostenibili, in grado di avvicinare i diversi Paesi alle società che dichiarano di essere”. Questa prospettiva chiama in causa direttamente la politica delle riforme, come passaggio indispensabile per un cambio di paradigma. 

Negli ultimi anni, questo termine non è stato molto popolare, vista la sua costante associazione alle politiche di austerità. Inoltre, gli annunci ricorrenti di grandi riforme istituzionali ed economiche mai realizzate e, paradossalmente, l’allargamento a dismisura delle fila di chi si dichiara “riformista” non hanno favorito l’esatta comprensione dell’importanza di questo concetto, sorto a partire dal Great Reform Bill del 1832. Eppure non può sfuggire a nessuno che, a maggior ragione dopo la recrudescenza degli effetti del Covid-19, con l’Italia collocata all’ultimo posto delle previsioni di crescita e l’Unione Europea – come ha ammonito Angela Merkel – davanti all’abisso della crisi economica, è impellente un mutamento netto di scenario. 

Le riforme hanno un’intrinseca validità in un Paese in cui le forze che le hanno propugnate sono state storicamente una minoranza e la mancanza di una coraggiosa modernizzazione ha provocato una fragilità della struttura economica e la persistenza del dualismo italiano. Solo in due epoche, l’età giolittiana con l’avvio dell’industrializzazione e il “miracolo economico” con l’aggancio alle nazioni più avanzate del continente, l’Italia è riuscita a compiere un’innovazione di sistema. Nel quadro attuale, una pratica riformista rappresenta una necessità e un’opportunità per l’Italia, non un vincolo, né tantomeno un’imposizione. Del resto, il tema principale è quello del ruolo dello Stato e della sua capacità di accelerare le scelte per la competitività del Paese. A questo scopo, si può riprendere il disegno di Francesco Saverio Nitti, con l’indicazione lungimirante di Alberto Beneduce, che sosteneva l’idea di uno Stato che si fa altro da sé, adottando i caratteri e le modalità di azione dell’impresa privata. Perciò, il decreto-legge di semplificazione e lo schema del Programma Nazionale di Riforma assumono un significato cruciale, che non può essere sottovalutato. 

Il PNR prepara il Programma di Ripresa e Resilienza, che a ottobre sarà lo strumento di verifica per l’accesso ai finanziamenti del fondo europeo, ma costituisce sicuramente un primo banco di prova per i progetti di trasformazione, ruotando intorno alle linee strategiche della modernizzazione del Paese. Lo schema si fonda sul rilancio degli investimenti pubblici (con l’obiettivo di superare stabilmente la quota del 3% del PIL), sull’incremento delle risorse per la formazione, la ricerca e lo sviluppo, sull’impulso all’iniziativa privata e sulla spinta di riforme capaci di potenziare il dinamismo dell’economia. Il documento termina con un lungo elenco di priorità, che includono le politiche fiscali e la riduzione del debito, il mercato del lavoro e l’istruzione, le politiche sociali, la pubblica amministrazione, gli investimenti materiali e immateriali, ma in assenza di una valutazione d’impatto e di un preciso cronoprogramma. 

Le misure urgenti oggetto del decreto-legge, a loro volta, si articolano in quattro ambiti principali: contratti pubblici ed edilizia; procedimenti e responsabilità degli amministratori; digitalizzazione; imprese, ambiente ed economia verde. Al di là di spunti interessanti e di specifiche innovazioni di rilievo, come nel caso di alcune semplificazioni per appalti, procedure e investimenti o del ribaltamento di una condizione da “sindrome della firma” dei funzionari pubblici, il provvedimento sembra muoversi ancora sul piano delle affermazioni di principio più che della fattibilità, con un eccesso di materie trattate e una mancanza di audacia per una vera rivoluzione amministrativa. Si spera che, durante il suo iter, il testo venga modificato, selezionando le effettive priorità di intervento e indicando chiaramente gli strumenti per inverarle. Non è pensabile, dunque, tornare al punto di partenza, prima della pandemia. Dopo la fase di ascolto da parte del Governo, è venuto il tempo delle riforme e degli investimenti, delle scelte di radicale cambiamento e della loro realizzazione.

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