10 maggio 2020   Rassegna stampa

Una comunità di nome Madre

Intervista a Laura Valente di Sabina Minardi - L'Espresso

Un New Deal per le arti, con investimenti pubblici analoghi a quelli post Grande depressione, come suggeriscono l'Unesco e Hans Ulrich Obrist, direttore della Serpentine Gallery? Una "Netflix per la Cultura", come auspica il ministro Franceschini? Laura Valente, presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti contemporanee - Museo Madre, il museo d'arte contemporanea di Napoli, ha fiducia in un'altra parola: comunità. E la declina almeno per tre volte: valorizzare la comunità dei suoi artisti, rinsaldare la comunità dei visitatori; coinvolgere la comunità territoriale. Cerniera tra i quartieri di Forcella e Sanità, del resto, il contesto del Madre non è indifferente. E ora che il tempo per la riapertura si riavvicina, dopo lo stop forzato, proprio quella sede può rivelarsi più preziosa di prima. «Riapriremo adottando tutte le misure di cautela prescritte, con presenze contingentate e prenotazioni elettroniche. Ma senza perdere di vista ciò che siamo: un luogo di cultura contemporanea, con la precisa responsabilità di raccontare il presente. Soprattutto quando suscita interrogativi profondi come quelli attuali».

Quali sono le domande più urgenti che vi state ponendo?

«Ci sono riflessioni che noi, e tutti gli attori coinvolti, dal Ministero al territorio, dovremmo svolgere insieme, su una piattaforma comune. Naturalmente, al momento ci sono urgenze precise, come continuare a far lavorare un indotto importante: dagli attrezzisti agli addetti alla produzione, agli artigiani. Ma tutti gli artisti si troveranno in difficoltà, perché non esiste più, in questo momento, il mercato. I più grandi, i più noti, stanno dando il loro contributo tagliandosi gli stipendi a favore degli artisti più giovani. Contemporaneamente, dovremmo riflettere su cosa vogliamo essere. Il museo è un'esperienza dal vivo, nessuna digitalizzazione potrà sostituire i pensieri, le intuizioni, la bellezza che sperimentiamo quando lo attraversiamo fisicamente. Ma per continuare a farlo, dobbiamo ribaltare un modello, smarcandolo anche dal mercato».

La crisi suggerisce un cambio di paradigma, a partire dalla necessità di razionalizzare il numero di mostre?

«Siamo di fronte al fallimento di una certa visione liberista: il sistema, come è stato sinora, non può reggere. Ma non ha senso pensare di risolvere le difficoltà finanziarie tagliando sul numero di mostre e affidandoci al richiamo di grandi nomi: chi riflette davvero su questo tempo sono i giovani, ed è a loro che va offerto l'aiuto più forte. Si cita l'America che salvò l'arte negli anni Trenta. Però Roosevelt non andò a prendersi le star, ma si assunse la responsabilità di promuovere sconosciuti. Così sono nati tanti grandi artisti. Dovranno cambiare gli indici di valutazione della qualità di un museo, riconoscendo più l'impatto che un museo ha su un territorio, che i vernissage d'inaugurazione o la capacità di accaparrarsi mostre blockbuster».

Lei sottolinea il legame col territorio di un museo. Perchè?

«L'identitarietà è e sarà fondamentale. Questo museo divide a metà due quartieri simbolo di Napoli: non si può non tenere conto di una piazza di spaccio non distante da qua, delle difficoltà dei giovani o della paranza dei bambini. Come museo abbiamo la responsabilità di incidere sulle coscienze, di promuovere cose di alto livello ma anche di far entrare la gente da noi in un certo modo e di farla uscire cambiata, o per lo meno scossa. Con il territorio l'interazione è continua. Maurizio Braucci, col suo workshop teatrale "Arrevuoto", ha coinvolto ragazzi a rischio, che oggi ritornano. Grazie a operatori specializzati, siamo un luogo aperto ai bambini, soprattutto quelli più emarginati. E una residenza d'artista nei prossimi mesi ci darà la possibilità di lavorare sulla quarta parete esterna del Madre, insieme con i ragazzi del quartiere. Prima del virus, con la direttrice Kathryn Weir stavamo preparando un festival, una "Woodstock" dei linguaggi del contemporaneo. Stiamo ribaltando il programma, alla luce delle sofferenze di questi giorni. Ma a giugno daremo il via».

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