21 maggio 2020

La distanza della cultura

Stefano Consiglio - Corriere del Mezzogiorno

Il contatto fisico, la voglia di abbracciarsi e di toccarsi. Ho sempre pensato che questi aspetti appartenessero alla sfera sociale e sentimentale ed invece la pandemia ci ha fatto capire quanto il sistema economico planetario si regge sulla possibilità che gli esseri umani possano stare vicini.

Il funzionamento dei sistemi di trasporto - dagli autobus, ai treni fino ad arrivare agli aerei; dei sistemi di distribuzione commerciale – dai supermercati alle botteghe; dei servizi alla persona si reggono sulla possibilità che le persone possano stare vicine.

In questi giorni ci stiamo rendendo conto di quanto la vicinanza è un requisito importante del sistema economico globalizzato. La vicinanza nel settore culturale, però, è ancora più importante; è un ingrediente fondamentale e vitale. La bellezza di un evento culturale è tale perché vissuta in contemporanea con centinaia o magari migliaia di altre persone. Nelle performing arts il pubblico è parte dello spettacolo. L’euforia che provoca lo stadio pieno durante un concerto, l’emozione che viviamo nell’assistere ad un’opera lirica in un San Carlo tutto esaurito, la felicità di poter partecipare all’inaugurazione di una mostra d’arte sono tutte occasioni che nei prossimi mesi (speriamo pochi) non potremmo vivere. La necessità di stare distanti impone, infatti, un ripensamento radicale delle attività culturali.

La prima sfida riguarda la questione della gestione degli spazi culturali: basterà adattarsi ai protocolli delle autorità sanitarie o sarà necessario un ripensamento complessivo dei luoghi?

Qualcuno prefigura che passeremo da un sistema di fruizione culturale improvvisata e di massa, ad un sistema basato sulla programmazione e sulla prenotazione. Questa tendenza la si riscontrerà quando decideremo di andare al ristorante o ad uno stabilimento balneare e probabilmente sarà così anche quando decideremo di andare a visitare un museo, una galleria d’arte e a vedere un film.

Per fare fronte al problema della capienza molti operatori culturali iniziano ad immaginare modelli di fruizione esclusivi e personalizzati “ampliati”.  Per la fruizione museale, ad esempio, si rafforzerà la tendenza alla visita guidata, in grado di cadenzare meglio i tempi e programmare i flussi, piuttosto che l’entrata libera. Gli operatori inizieranno a riprogettare i propri servizi culturali immaginandoli come momenti esperienziali personalizzati ed esclusivi. Non è da escludere che nei prossimi mesi ci saranno proposte come: “5 minuti a tu per tu con il Toro Farnese”; “Il Cristo Velato in esclusiva per la tua famiglia”.

Per fronteggiare la limitatezza degli spazi e quindi per garantire il diradamento e la lontananza tra le persone si proverà ad “allargare” il processo di fruizione e lo si farà incidendo sulla dimensione temporale e sul digitale.

Per quanto riguarda la dimensione temporale non è azzardato immaginare un futuro non troppo lontano in cui non vedremo più spazi culturali affollati, in orari concentrati; ma probabilmente avremo l’occasione di usufruire dei servizi culturali circondati da un minor numero di persone, in orari e giornate che ora consideriamo strani e anomali.

Un altro modo di “allargare” l’esperienza di fruizione sarà quello di mixare con intelligenza la fruizione digitale con quella reale. Incuriosire, stuzzicare, interessare il visitatore/spettatore con il digitale prima dell’evento culturale per rendere il momento fisico più consapevole e più profondo e dopo l’evento per raccogliere le sue impressioni e considerazioni.

Ma il grande punto interrogativo di questa rivoluzione è l’impatto sulla sostenibilità del comparto culturale.

Il distanziamento costa molto in quanto ridimensiona il pubblico (a parità di orario di apertura) ed impone un incremento dei costi (per garantire sanificazione dei luoghi e per allargare i tempi di apertura). Chi pagherà per mantenere in vita la cultura? Il rischio di ridimensionamento riguarda soprattutto le tante realtà private fuori dai circuiti dei finanziamenti pubblici che si sostengono attraverso le entrate proprie e la propria capacità di fare fundraising. Esiste il rischio che l’esclusività e la personalizzazione si trasformino in strumenti di esclusione se i minori ricavi ed i maggiori costi si ribaltano esclusivamente sul fruitore.

Forse la strada maestra per garantire la continuità del nostro sistema culturale è quella delle partnership tra pubblico e privato e tra sistema formativo e sistema culturale. I musei, le aree archeologiche, i cinema, i teatri potrebbero diventare luoghi di apprendimento per gli studenti di ogni ordine e grado, dalle elementari all’università. A volte dalle crisi si esce più forti, magari potremmo approfittare del Covid per fare nascere nel nostro paese una grande alleanza tra sistema culturale e sistema formativo.

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