24 giugno 2021   Articoli

Castano (ex Mise): “La nuova Acciaierie d’Italia? In consiglio non funziona la diarchia Invitalia-Mittal”

Giampiero Castano - Il Secolo XIX

Genova - «Finalmente una buona notizia. In caso contrario sarebbe stato un problema enorme da gestire, così rimane un problema enorme ma almeno è gestibile con una prospettiva positiva». Giampiero Castano, l’uomo dei 160 tavoli di crisi del Mise, ex direttore dell’Unità di gestione delle vertenze del ministero dello Sviluppo economico, in questa intervista al Secolo XIX commenta la sentenza del Consiglio di Stato e riflette su quali sono, a suo avviso, i prossimi ostacoli da rimuovere sul percorso della transizione ecologica di Taranto. «Ora non ci sono più alibi per portare a compimento il piano di diversificazione, risanamento, innovazione e tutela dell’occupazione che tutti hanno annunciato. - osserva - Certo, non c’è da cantare vittoria per nessuno».

Perché?

«Abbiamo una strada aperta, dobbiamo percorrerla sino in fondo e spero non ci siano altre imboscate».

Chi ha fatto imboscate?

«Chi in questi giorni ha continuato a chiedere che l’area a caldo fosse chiusa. Il sindaco di Taranto e alcune associazioni si sono mosse in questa direzione, spero si fermino e collaborino seriamente per accelerare i tempi del piano di conversione industriale».

L’ingresso di Invitalia in AmInvestCo oggi Acciaierie d’Italia?

«Positivo. Oggi la società è controllata anche da capitale pubblico e mi auguro che il presidente Bernabè si insedi in fretta in cda e prenda in mano le redini di questa vicenda, tenendo presente che l’anno prossimo l’azienda sarà a maggioranza assoluta di capitale pubblico».

Bernabé sarà presidente, ma il contratto prevede che sino a quando Invitalia non salirà al 60% l’ad resterà espressione di Mittal. Come vede la convivenza?

«Credo che questa diarchia non possa durare per molto tempo. Bernabè non è un presidente qualunque, è un grande manager che ha alle spalle una capacità di gestire problemi complessi nota. Mi auguro che, il più rapidamente possibile, ci sia un chiarimento. Non è stato fatto in sede di accordo, e a mio parere non avere chiarito questi aspetti gestionali è stato un limite, ArcelorMittal è un socio importante e ingombrante».

Lei era direttore al Mise quando Ilva è stata assegnata a Mittal. Questi 18 mesi di gestione?

«Ho visto grande confusione. Non conosco tutti i numeri, ma ho letto il rapporto di Kpmg e mi sono un po’ preoccupato. Quella relazione segnala una situazione molto preoccupante anche dal punto di vista economico. Perciò penso che occorra chiarire bene, e il prima possibile, come e chi gestirà l’azienda».

Sempre dal Mise ha fatto l’accordo sindacale dei 10.700 lavoratori: i metalmeccanici lo rivendicano.

«Lo rivendicano per gli investimenti e per i livelli occupazionali. Sugli investimenti non ho alcun dubbio. Sui livelli occupazionali già allora avevamo imposto - lo dico in termini molto espliciti - una forzatura. Spero che nella discussione che dovrà essere fatta per rimettere in sesto l’azienda si ragioni in modo più pacato e obiettivo. Che non significa licenziare le persone. Si tratta di dare all’azienda un assetto equilibrato e di fare progetti per lo sviluppo per Taranto, che non può vivere solo di Ilva, una monoproduzione non fa bene a nessun territorio. Il sindaco dovrebbe occuparsi un po’ di più di come diversificare e creare nuovi posti di lavoro».

A Genova i lavoratori scioperano contro la richiesta di Cig di Acciaierie d’Italia.

«Non voglio entrare nel merito delle vicende interne all’azienda, ma il mercato lo conosco. Il presidente di Federacciai Banzato dice che in questo periodo non si riesce a far fronte alla forte domanda, nemmeno con l’importazione. Mi sorprende che un gruppo importante come Mittal sia in una situazione del genere. Per quanto riguarda banda stagnata e laminati piani, la Magona rivendica materia per poter far fronte agli ordini che ha. Non conosco la situazione commerciale di Acciaierie d’Italia, ma il mercato cui si rivolge Genova sta tirando molto».

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