03 gennaio 2021   Articoli

Il Recovery senza visione che resta fermo al palo

Ennio Cascetta - Il Mattino

Il dibattito pubblico e la politica si occupano in questi giorni dell’uso che l’Italia farà dei fondi del Next Generation UE. Finalmente. Scelte conservative di risanamento che non alterino gli equilibri sociali o investimenti e riforme più scomode ma più impattanti per la crescita sociale ed economica? Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nome invero poco evocativo, è stato criticato da più parti.

È stato criticato perché manca un’anima, una vision del Paese che vorremmo. Mi sento di condividere questa tesi e vorrei fare alcuni esempi sui temi delle infrastrutture e della logistica, analizzando quello che c’è nel PNRR e anche quello che non c’è e avrebbe dovuto esserci. 
Innanzitutto la visione. Una Italia fortemente connessa alla grandi reti transeuropee, soprattutto ferroviarie, per dare respiro alle nostre esportazioni, oggi al 70% su gomma, attraverso la cura del ferro. Un’Italia equa che fornisca accessibilità con l’Alta Velocità di Rete alle tante aree oggi escluse, al Nord come al Sud, e per questo penalizzate nel loro sviluppo. Un’Italia con una mobilità urbana sostenibile e una logistica forte e resiliente.

La visione che ho descritto si è consolidata negli ultimi anni, ma si sta perdendo nelle rielaborazioni dei piani di Connettere l’Italia. Il PNRR fa riferimento all’allegato al DEF 2020, Italia Veloce (!) proposto dal MIT, ma è un riferimento puramente formale, dal quale discendono liste di opere ed interventi scollegati e senza motivazione di priorità. Ciò ha generato una contro reazione delle Regioni che si sono affrettate a proporre liste di opere da introdurre nel PNRR per un totale, ovviamente virtuale, che esaurirebbe l’intero PNRR! Siamo tornati alle liste della Legge Obiettivo, questa volta in salsa europea. Il paradosso è che le risorse aggiuntive sono pochissime. Nel PNRR sono previsti 27 miliardi per finanziare infrastrutture in corso di realizzazione e già finanziate, come la Napoli Bari, reinvestendo solo un terzo delle risorse in nuove opere oggi non finanziate. In un Paese che ha bisogno come il pane di investimenti si sarebbero dovuti riservare tutti i “risparmi” per finanziare opere non ancora avviate da completare negli anni successivi al 2026. Un esempio per tutti: l’attraversamento stabile dello stretto di Messina. 

Ancora, l’Unione Europea insiste molto sull’uso del Next Generation per finanziare riforme. Una riforma di cui l’Italia avrebbe assolutamente bisogno è quella del trasporto pubblico. Le vicende Covid di questi mesi hanno impietosamente mostrato quanto sia inadeguato questo servizio di cittadinanza. Il PNRR prevede investimenti per rinnovare autobus e treni, certamente utili, ma che non sposteranno di nulla gli assetti consolidati che producono servizi inefficaci ed inefficienti. Servirebbe una riforma e il rilancio del settore che passa attraverso la apertura alle aziende più efficienti, pubbliche o private che siano, per una mobilità urbana equa e sostenibile.

Molti altri esempi potrebbero essere fatti su politiche realizzabili entro il 2026 che avrebbero potuto trovare spazio in un PNRR che avesse «un’anima». Cito due proposte che ho avanzato qualche mese fa. 

Il finanziamento dei servizi di Alta Velocità anche per le aree oggi escluse da questi servizi, al Sud ma anche in Liguria, in Friuli, e sull’Adriatico. Servizi quantitativamente e qualitativamente analoghi a quelli disponibili sulla linea Torino- Milano – Napoli in attesa che gli investimenti sulle infrastrutture aumentino la velocità di marcia. Un investimento in accessibilità ed equità territoriali, soprattutto per il Mezzogiorno. 

Un piano per la logistica sostenibile, sostituendo gli incentivi ferrobonus e marebonus introdotti con successo tre anni fa ma che ormai devono evolvere verso meccanismi stabili e ancora più efficaci, ma anche stimoli per la aggregazione delle troppe imprese di piccole dimensioni e alle industrie italiane per promuovere il Made in Italy anche nella logistica scegliendo loro il vettore.

Infine uno sguardo al futuro. Nel mondo si stanno investendo miliardi di euro privati e pubblici in quella che definisco «la settima rivoluzione dei trasporti». Veicoli a guida autonoma, connessione 5G fra veicoli e infrastrutture, elettrificazione e combustibili a basso impatto ambientale, servizi di mobilità sempre più orientati all’uso. C’è un interesse italiano dentro quello europeo? Ci sono comparti industriali e centri di ricerca competitivi sui quali investire per partecipare non da followers a questa rivoluzione? Penso di sì, nonostante le perdite che abbiamo registrato negli ultimi anni nelle industrie dell’auto e ferroviaria. Un investimento congiunto di attività produttive e ricerca sulla mobilità del 2050 sarebbe in linea con una visione del Paese da lasciare alla prossima generazione, come hanno fatto con noi i nostri genitori che quelle industrie avevano ricostruito.

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