24 maggio 2021   Articoli

Il sindaco che vorrei: il "mio" non racconterà favole

Viola Ardone - Corriere del Mezzogiorno

Non so se il prossimo sindaco di Napoli sarà una donna o sarà un uomo. E nemmeno se nel comporre la sua giunta si procurerà un bilancino di precisione per dispensare quote rose con la millimetrica precisione di un cesellatore, o se invece sceglierà donne competenti perché ce ne sono tantissime e perché in una società giusta e moderna non possiamo farne a meno.

Non so se sarà un “giovane” – etichetta che nel nostro Paese si estende almeno fino ai cinquantenni, nonostante abbiano alle spalle anni di militanza, esperienza, responsabilità... – oppure un “senior”, e le figure carismatiche di Draghi e Mattarella confermano il bisogno degli italiani di sentirsi guidati da padri, piuttosto che da pari.

Non so di quale partito politico sarà: provo da un po’ di tempo qualche disagio nel censire, catalogare, discernere significative differenze tra programma e programma, tra proclama e proclama, tra tweet e retweet provenienti dalle diverse compagini.

Non so chi saranno i suoi elettori, perché mi sono accorta che i disorientati, gli orfani, i dispersi sono il partito ormai più folto tra i cittadini che, sopravvissuti alla tempesta Covid e vittime di uno stress post traumatico, chiedono ai governanti poche indispensabili cose: lavoro, salute, serenità.

Eppure il mio sindaco io lo conosco bene. Lo conosco da sempre, so come la pensa su tutti i temi che mi stanno a cuore, conosco le sue abitudini, alcune debolezze che lo rendono umano e i molti pregi che ne fanno una persona normale, capace di trasformare questa città delle eccezioni in una città normale.

È coraggioso, il mio sindaco, perché a sedere su quello scranno ci vuole temerarietà. Sa che sotto il palazzo in cui si insedierà è aperta una voragine. Va a prendere possesso di un fallimento, a diventare il primo cittadino di un dissesto. Ma lui ha competenze di speleologo e con il baratro ha familiarità. 

È anche un rocciatore, perché amministrare la città è scalare pietra a pietra una montagna, la cui vetta si allontana a ogni metro. 

E poi è un paziente agricoltore: pianta speranze e le coltiva, semina iniziative, innesta nuovi progetti e ha forbici per potare i rami avvizziti e secchi.

È un podista, il mio sindaco, sa che la marcia è lunga e la meta è lontana. Non corre, lui, cammina, il passo è fermo ma costante e attraversa tutti i quartieri, come se non ci fosse un centro, come se non esistessero periferie.

Non è bello né brutto, ha una faccia qualunque ma con due occhi grandi, per osservare meglio, e due orecchie grandi, per ascoltare tutti. No, non è la favola di Cappuccetto rosso, perché il mio sindaco non racconta favole.

È taciturno, preferisce capire prima di parlare. È timido, frequenta poco le televisioni, i social, i talk show. E quando ha qualcosa di importante da dire, non la dice: la fa.

Ha pochi amici, perché quelli spesso nel tempo ti girano le spalle, ma ha molti compagni, che quotidianamente ne condividono il cammino.

Ha delle idee che sono rimaste quelle, non si sono spostate. Magari si è spostato tutto il resto intorno, ma loro no: i diritti, la giustizia sociale, la solidarietà, la cultura, il lavoro, la scuola, la legalità, l’ambiente.

Ha una faccia qualunque, ha una famiglia qualunque, un’automobile qualunque. Se lo vedi per strada non lo noti nemmeno, noti la strada, invece, sgombra di buche e traffico, grazie a quel suo lavoro silenzioso. Non urla, il mio sindaco, non minaccia, non sbeffeggia, non pietisce, non promette, non rinfaccia, non esulta.

Lo conosco benissimo, anche se ignoro quale sia il suo nome, d’altronde a lui non interessa che qualcuno lo ricordi, preferisce che si parli della città piuttosto che di lui. 

È una persona unica, il mio sindaco, eppure, vi assicuro che non è una persona fuori dal Comune

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