04 settembre 2020   Articoli

Al Cilento senza il suo Angelo non può essere negata la verità

Amedeo Lepore - Il Mattino

A un decennio dalla tragica scomparsa, Angelo Vassallo viene ricordato oggi nella sua diletta Acciaroli, per iniziativa dei fratelli, e al Sele d’Oro Mezzogiorno di Oliveto Citra, a lui dedicato. Il sentimento di partecipazione umana e civile alla sua straordinaria storia, spezzata da una mano ancora oscura, è vasto e duraturo, nonostante lo scorrere veloce di un tempo che cancella la memoria. 

Non altrettanto solida è la consapevolezza delle istituzioni – a parte alcune lodevoli eccezioni, come la lettera dei giorni scorsi del Presidente del Consiglio e l’intervento del Procuratore capo di Salerno su questo giornale – della necessità di fare finalmente luce su quella barbara uccisione, sui moventi e sui colpevoli. Ormai, a combattere quotidianamente una battaglia coraggiosa sembra siano rimasti i suoi cari e i tanti messaggeri di questa emozione diffusa per tutta l’Italia. 

Una prova eccezionale di tale dignità e forza da sola non basta a produrre risultati sul piano delle indagini e quella risposta corale della struttura ordinamentale del Paese, che si richiede al cospetto di eventi tanto laceranti. Questa situazione, anzi, rischia di acuire l’esposizione dei familiari di Angelo contro i criminali, i loro mandanti e i loro complici, che continuano a operare nell’ombra da troppi anni. Il Cilento, invaso quest’estate come non mai da un turismo nazionale erratico ed effimero, ha un passato nobile, ardente e risoluto. I suoi tratti sono sempre emersi in momenti decisivi delle vicende del Mezzogiorno, come nei moti carbonari e risorgimentali del 1828, del 1848 e del 1857, guidati rispettivamente da Antonio Galotti, Costabile Carducci e Carlo Pisacane. 

Una rappresentazione appassionata di queste radici profonde e dell’impegno indomabile di questa terra è il film “Noi credevamo” di Mario Martone, con protagonisti tre giovani cilentani (Salvatore Tambasco, Domenico Lopresti e Angelo Cammarota) animati da ideali repubblicani, attraverso le cui imprese si svolge il complesso racconto del processo di unificazione italiana. Tuttavia, il Cilento si è ridestato anche in un’epoca più recente, quando è riuscito a fare del suo isolamento fisico, delle sue tradizioni e del suo rapporto con la natura la leva per un nuovo tipo di crescita. 

Angelo Vassallo è stato il personaggio principale, il tenace e scorbutico costruttore di questa nuova opera, al tempo stesso visionaria e tremendamente concreta. Nei quindici anni in cui è stato sindaco di Pollica (dal 1995 al 2010) ha segnato una svolta epocale, dando dimostrazione di quale dovrebbe essere il ruolo e l’attività di un pubblico amministratore, per giunta del Sud. Innanzitutto, ha realizzato un vero modello di sviluppo, anticipando il Green New Deal e la bioeconomia, ben oltre i parametri di una sostenibilità meramente conservativa. Infatti, Pollica e le sue cinque frazioni (Acciaroli, Pioppi, Cannicchio, Celso e Galdo) sono state trasformate, con una capacità unica di valorizzare l’ambiente e il paesaggio circostanti, la terra e il mare, migliorando i borghi senza tradirne la storia e l’impianto, ma assegnando a ciascuno una precisa vocazione. Così, questi luoghi sono diventati centro di attrazione di un turismo stanziale e qualificato, promuovendo una rinascita economica integrata. In questo ambito, è stata riscoperta la dieta mediterranea, studiata qui da Ancel Keys, e sottoposta all’UNESCO la proposta per il suo inserimento nella lista del patrimonio immateriale dell’umanità, pensata da Angelo e accolta solo pochi mesi dopo la sua morte. 

Questa iniziativa ha permesso lo sviluppo delle attività agroalimentari ed enogastronomiche locali, oltre che l’affermazione di uno stile di vita tipico, a dimensione umana. La lotta intransigente per la sicurezza e la legalità è stato l’altro aspetto essenziale del suo impegno. Il suo carattere aspro, che non faceva sconti a nessuno, ha rappresentato in quegli anni un baluardo contro la speculazione e i traffici illeciti. Dopo di lui, si è rotto qualcosa di serio di fronte alla grave commistione tra le forze del malaffare e della droga e chi le ha coperte e forse le copre tuttora. Il trascorrere del tempo, però, non è servito a far dimenticare, a colmare questo buco nero. Perciò, oggi è ancora più necessaria un’assunzione generale di responsabilità politica e morale, la cui mancanza spiega anche i gesti estremi dei familiari. Dare fiducia a loro, come stanno facendo esponenti delle forze dell’ordine, e a una comunità in balìa di sé stessa, colpita dal germe pericoloso dell’impunità e dell’abbandono, è il compito primario delle istituzioni e delle organizzazioni democratiche. 

La sera del 5 settembre 2010, lungo la strada che lo riportava a casa, Angelo fu trucidato in un vile agguato con nove colpi di pistola. Mentre ricordiamo quel momento atroce, ritorna il motivo della sua canzone preferita, scolpito nel marmo della sua tomba: “Ricordati, dovunque sei, se mi cercherai, sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”. Acciaroli, quel pezzo di Cilento non è più lo stesso da allora, mentre gli assassini e i loro complici sono liberi e possono compiere ancora del male. Che si faccia ogni sforzo per fermarli e punirli con il massimo rigore, ridando finalmente pace ad Angelo, alla sua famiglia, alla sua comunità e onore alle istituzioni ferite di questo Paese. La verità non può essere negata.

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