21 maggio 2021   Articoli

La bolla sui prezzi una mina sul rilancio

Amedeo Lepore - Il Mattino

La pandemia sta imponendo un’accelerazione della transizione a un nuovo paradigma dell’economia globale, non un suo rallentamento.

 Secondo un recente editoriale del Wall Street Journal, si sarebbe già avviato un boom post-Covid, prima ancora del dispiegamento della manovra da 4 trilioni di dollari dell’amministrazione Biden, grazie alla campagna di vaccinazioni e al graduale ritorno dei principali indicatori economici ai livelli di fine 2019. 

Dani Rodrik attribuisce questo cambiamento a un audace allontanamento, sia negli Stati Uniti che in gran parte dell’Occidente, dall’ortodossia della politica economica prevalsa negli anni Ottanta. Da allora, le economie si sono caratterizzate per il loro alto grado di finanziarizzazione, disuguaglianza e instabilità, diventando sempre più impermeabili alle esigenze di trasformazione scaturite dalle alterazioni dell’ambiente, dalle impellenze di inclusione sociale e dalle innovazioni delle tecnologie abilitanti. 

Il mutamento del modello economico non deve dare una risposta alla caduta delle precedenti teorie generali di “mercantilisti, liberali classici, keynesiani, socialdemocratici, ordoliberisti o neoliberisti” in termini di nuovi assiomi, ma intervenire sul piano concreto delle diverse combinazioni di politica economica, indispensabili per affrontare la congiuntura e introdurre modifiche strutturali in un sistema ossificato. 

Al cospetto dei rischi di inflazione, già paventati in un articolo di fine marzo su questo giornale, si è aperto un dibattito che non riguarda più solo l’altra sponda dell’Atlantico. Il presidente della Fed Jerome Powell ha dichiarato che le quotazioni finanziarie sono elevate, ma la situazione è tranquilla, poiché l’inflazione esprime “fattori temporanei” e non appare necessaria, al momento, una riduzione dell’acquisto di titoli (tapering). Tuttavia, Larry Summers, che aveva riproposto il concetto di una “stagnazione secolare”, ora ha evidenziato il pericolo, derivante da uno stimolo economico simile alla dimensione della spesa pubblica del secondo dopoguerra, di “innescare pressioni inflazionistiche mai viste nel corso dell’ultima generazione”. Al tempo stesso, Olivier Blanchard ha rilevato come le misure adottate possano determinare un forte aumento dell’inflazione già nei prossimi mesi. 

In Europa, a parere di molti osservatori, nel 2021 l’inflazione potrebbe superare largamente le previsioni della BCE. L’Eurostat stima che ad aprile i prezzi dell’eurozona siano già saliti, a causa dell’incremento dei costi del petrolio e delle materie prime, dell’1,6% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Secondo Michael Mackenzie del Financial Times, i mercati stanno riflettendo il ritorno dei prezzi al consumo a un livello problematico di inflazione, che potrebbe permanere per impulso delle politiche fiscali. 

Questa situazione mette in guardia gli investitori, che si preoccupano per uno shock inflazionistico duraturo, anche se nei due casi precedenti del 2000 e del 2008 allarmi analoghi si sono rivelati infondati. 

Oggi, le tendenze relative all’invecchiamento della popolazione e alla riduzione dei costi legati all’innovazione tecnologica sono deterrenti di natura disinflazionistica, che si scontrano, però, con l’espansione monetaria in atto e la prospettiva di un surriscaldamento dell’economia. 

Le aspettative a medio lungo-termine sono per un tasso di inflazione al 2,5%, ma questa previsione potrebbe repentinamente variare in base alle percezioni e agli orientamenti degli investitori, portando a un inevitabile aumento dei tassi di interesse, come ha osservato la responsabile del Tesoro statunitense Janet Yellen. Quindi, anche se il fenomeno – per ora – non è minaccioso, non va affatto trascurato.

 Per l’Europa e per l’Italia, impegnate nella più grande opera di rilancio dell’economia dopo la ricostruzione postbellica, si ripresenta il tema della dilatazione del debito pubblico, del tutto necessaria in questa fase, e del suo progressivo rientro nei prossimi anni. 

A questo problema, certamente non irrilevante per il futuro dell’economia, si può far fronte, prima di ricorrere a restrizioni e risanamenti, con una spesa accorta e finalizzata, mediante gli investimenti e le riforme del Recovery Plan.

 Barry Eichengreen ha indicato la crescita della produttività come fattore decisivo per incrementare il denominatore del rapporto debito/Pil, riducendo in questo modo il peso del passivo. Ma per ottenere questo risultato occorre un tempo non breve e molto dipende dalle politiche di bilancio e dalle banche centrali. Il governo può accelerare questo processo e fare di questa sfida uno dei principali obiettivi della nostra compagine nazionale.

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Economia

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