12 gennaio 2020   Articoli

Mezzogiorno in stagnazione. Ecco qualche idea per uscirne

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

C’è qualche ragionevole speranza che nel 2020 il Mezzogiorno riprenda a crescere almeno in linea con il resto del Paese, dopo un 2018-19 che ha visto riallargarsi il divario con il Centro-Nord? Le energie imprenditoriali e lavorative ci sono, serve una svolta nelle politiche per lo sviluppo che ne sostenga gli sforzi.

Sappiamo che in questo momento la situazione è stagnante, come da ultimo segnala il Check-Up Mezzogiorno presentato da Confindustria e SRM a fine dicembre: produzione, investimenti ed esportazioni fermi o in arretramento rispetto ai valori del 2018; occupazione aumentata leggermente ma ore lavorate totali che ristagnano insieme con il Pil. Soprattutto, si è fermato il cuore più dinamico del sistema economico, l’industria, che nel triennio 2015-17 era stato il settore che più cresceva per produzione, investimenti e occupazione. Il suo rallentamento, iniziato nel 2018, si è convertito nel 2019 in flessione produttiva e in perdita di posti di lavoro: oltre 50.000 in meno in un anno (comprese le costruzioni), compensando praticamente l’aumento di occupazione nel settore dei servizi. La situazione è aggravata dalla cronica difficoltà a sbloccare gli investimenti pubblici: la riduzione della spesa in conto capitale delle pubbliche amministrazioni, che colpisce anche il Centro-Nord, è particolarmente accentuata al Sud sia nella componente ordinaria che in quella aggiuntiva (Fondi strutturali europei e Fondo sviluppo e coesione).

E’ urgente quindi adottare misure che rilancino gli investimenti privati in innovazione e competitività e che sblocchino gli investimenti pubblici in infrastrutture. E c’è da augurarsi che il Piano per il Sud annunciato dal Governo contenga indicazioni operative in queste due direzioni. 

Per il sostegno agli investimenti privati, la Legge di bilancio ha messo un primo tassello importante rifinanziando per il 2020 il Credito d’imposta per gli investimenti al Sud e mantenendone il carattere integrativo e non alternativo agli incentivi di Industria 4.0: in questo modo si combina l’esigenza di sostenere investimenti di completamento delle filiere produttive e del tessuto industriale nel Mezzogiorno con quella di assicurare agli investimenti in innovazione un incentivo potenziato che allarghi al Meridione l’utilizzo più ampio degli strumenti di Industria 4.0. E’ una direzione di marcia da approfondire e articolare ulteriormente nelle sue modalità di realizzazione, senza dimenticare però che la prima cosa da fare è rendere il Credito d’imposta Sud una misura strutturale, quindi con un orizzonte temporale non limitato al 2020.

E’ chiaro però che le stesse misure di incentivazione degli investimenti privati saranno tanto più efficaci quanto più si inseriranno all’interno di una politica di sviluppo sostenuta da investimenti pubblici in infrastrutture, ambiente, beni culturali e sociali, che attragga verso il Mezzogiorno un complesso di attività produttive. Due, a questo riguardo, i piani principali di intervento: quello delle grandi infrastrutture di interconnessione nazionali e quello delle infrastrutture da realizzare in singoli ambiti locali e regionali.

Sul primo versante, l’esperienza complessivamente positiva – pur con alcuni ritardi – della strategia per la Banda Ultralarga fornisce alcuni utili insegnamenti: la definizione chiara di un piano nazionale al riguardo; l’affidamento della specificazione tecnica della realizzazione della rete nelle aree a fallimento di mercato e della soluzione dei connessi problemi amministrativi a un soggetto pubblico tecnicamente attrezzato ed esterno alla PA, la società in-house Infratel; il ricorso alle capacità imprenditoriali private attraverso bandi di gara gestiti da Infratel per la costruzione e gestione della rete in quelle stesse aree. La lezione da trarre è che per sbloccare la realizzazione di grandi infrastrutture di interesse nazionale può rivelarsi decisivo il ricorso a strutture pubbliche esterne alla PA, dotate di forte competenza tecnica e tenute a rendere conto al Governo del proprio operato.

Per le infrastrutture di ambito locale e regionale, si può trarre ispirazione da quanto fatto a suo tempo nel biennio 2014-15 per l’accelerazione della spesa dei Fondi europei allora in scadenza: task-forces tecniche tra Agenzia della Coesione territoriale e singole Regioni per sciogliere i nodi programmatori e amministrativi che stavano bloccando le opere. L’esperienza ha funzionato molto bene e ha ispirato poi la linea dei Patti per il Sud, del Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto, del Grande Progetto Pompei. Si tratta di riprenderla facendo dell’Agenzia un braccio operativo forte del Governo centrale nel sollecitare lo sblocco dei lavori.

Rimettere in moto il Mezzogiorno: si può e si deve, per ridare slancio alle tante forze positive che lo percorrono. 

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