01 dicembre 2021   Articoli

Il Sud recuperi produttività

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Il divario produttivo tra sud e centro nord nel nostro paese, sintetizzabile nella differenza tra PIL pro-capite, si può scomporre in un divario di tasso di occupazione e un divario di produttività. In altri termini produciamo meno sia perché lavorano meno persone, sia perché quelle che lavorano hanno una minore produttività. I due fattori contribuiscono approssimativamente in maniera paritaria al divario, in entrambi i casi siamo al 75% circa del livello del centro nord. In realtà però anche la differenza di occupazione alla fine dipende dalla produttività. Se la produttività (e quindi i salari) fosse uguale non ci sarebbero ragioni per avere meno occupati.

E’ quindi cruciale capire le fonti del divario di produttività. Su alcuni fattori non ci sono grossi dubbi. Investimenti e qualità del capitale umano per esempio sono i fattori più rilevanti. La maggior parte degli economisti ritiene da tempo che anche la contiguità delle attività economiche generi delle significative esternalità positive, che aumentano la produttività media delle imprese. Sui canali attraverso cui questo avviene c’è un ampio dibattito, ma di fatto sembra certo che si tratti di effetti cumulativi derivanti sia dalla attrazione delle risorse (umane) migliori, sia dallo scambio di informazioni e formazione, sia dal più facile accoppiamento di capitali e capacità complementari, sia dalla maggiore competizione locale. Si noti che per molti di questi canali in effetti la densità agisce come un moltiplicatore di vantaggi sia per le imprese che per i lavoratori, e quindi rinunciare ad esse implica anche per i lavoratori rinunciare a parte del loro potenziale produttivo. Qualunque sia la ragione la densità di attività economica è un fattore che spiega molta parte delle differenze di produttività in molti paesi. Un recente lavoro della Banca d’Italia, sfruttando dati straordinari a livello di impresa, stima una elasticità della produttività alla densità di lavoratori nei Sistemi Locali del Lavoro, delle unità territoriali di circa 11/12 km di raggio. Due risultati sono di immediato rilievo per il divario nord-sud. Il primo, a mio parere positivo, è che le economie di densità non sono differenti tra le due ripartizioni. In altri termini non ci sono due paesi, ma uno solo in cui le differenze sono, per questo aspetto, nella densità media, molto maggiore al nord. Il secondo è che una parte significativa delle differenze di produttività nord-sud, più di un quarto, possono in effetti essere attribuite alla densità. 

Non è semplice comunque interpretare queste evidenze e le loro conseguenze per le politiche di coesione. Una prima possibile conseguenza è banale: dobbiamo cercare di aumentare la densità di attività economica al sud. Meno banale è forse la seconda: sono cruciali per ridurre il divario i contesti in cui la densità produttiva è possibile perché c’è densità abitativa, in particolare le città grandi e medie. L’attrattività delle città grandi e medie del Mezzogiorno è in effetti cruciale sia direttamente (necessariamente presentano le densità maggiori), sia indirettamente (rappresentano poli che possono evitare l’emigrazione dal Mezzogiorno se attrattive). Da questo punto di vista vagheggiare il ripopolamento dei mille borghi dell’appennino è una illusione costosa e inutile. Bisogna assicurare servizi minimi ed esistono anche alcune comunità con delle prospettive concrete, su cui concentrarsi, ma l’urbanizzazione è inarrestabile e anche desiderabile.

Il fallimento delle politiche per il Mezzogiorno è il fallimento delle sue città ed è da queste che si deve ripartire. Gli ingredienti sono sempre gli stessi se si vuole: abitazioni di qualità a basso costo, trasporti efficienti, scuole di buona qualità, ordine pubblico, ambiente urbano gradevole, altri servizi pubblici decenti. Di questo devono occuparsi i sindaci, se sono capaci.

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Economia

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