23 agosto 2021   Articoli

Incentivi per il Sud da riorganizzare

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

A fine settembre la Commissione per il riordino degli incentivi per le imprese nel Mezzogiorno insediata dalla Ministra Carfagna dovrà formulare le proprie raccomandazioni. L’iniziativa della Ministra è quantomai opportuna perché il sistema degli incentivi è cresciuto in maniera disordinata e caotica negli ultimi anni sia per la necessità di nuovi Ministri di inventarsi nuove misure, sia per la necessità di istituire strumenti emergenziali nella crisi COVID. Progettare un sistema organico è senz’altro utile.

A mio parere la Commissione dovrà valutare il ginepraio di incentivi distinguendoli per tipologia (automatici e discrezionali) e per finalità. In linea generale quando coerente con la finalità e tecnicamente possibile, un incentivo automatico è sempre superiore. Esso evita costi amministrativi, di transazione, e soprattutto il rischio di un uso politico e opportunistico dell’incentivo stesso. Per quanto riguarda le finalità un incentivo dovrebbe sempre essere mirato all’effettuazione di un investimento, in capitale fisico o umano o anche organizzativo, oppure a una esternalità, come nel caso degli investimenti della Transizione Verde.

Tenendo presente questi elementi fondamentali la Commissione deve valutare la miriade di incentivi esistenti senza necessariamente puntare a un rafforzamento di tutti gli strumenti, ma anzi, ove possibile, accorpando, rinforzando gli strumenti più efficienti e abolendo quelli inutili. Tra gli incentivi automatici il più importante è il Credito d’imposta Sud, su investimenti in macchinari e impianti industriali. Dal 2016 questo credito d’imposta ha distribuito 4 miliardi di incentivi generando investimenti stimabili in tre volte tanto. Ha di fatto arrestato il calo di investimenti privati al sud, la principale causa del calo differenziale di produttività e di PIL nel Mezzogiorno. Ma non è riuscito a invertire il trend. Nel 2016 l’intensità di aiuto è stata portata ai massimi consentiti dalla normativa europea. Tuttavia il credito d’imposta, per una irrazionale regola europea, è fiscalmente imponibile, cosa che implica tra l’altro che una parte, talvolta consistente, degli aiuti per il sud torna automaticamente alla fiscalità generale. La Commissione dovrebbe raccomandare la ridiscussione di questo tema in sede europea, dove peraltro le nuove regole sugli aiuti di stato sono in discussione. Altri incentivi fiscali localizzati, in particolare le cd. zone franche urbane, che garantiscono esenzioni fiscali in micro zone urbane non hanno alcuna razionalità economica e dovrebbero essere abolite.

Gli incentivi discrezionali vanno riorganizzati per finalità. Essi sono principalmente mirati alla nuova imprenditorialità, all’innovazione, alla crescita dimensionale d’impresa e alla transizione verde. Ognuna di queste finalità dovrebbe avere uno strumento di policy. Un accorpamento degli strumenti esistenti, ad esempio quelli settoriali, è senz’altro necessario, salvo quando la gestione di uno strumento settoriale sia più efficiente in capo a un soggetto specializzato.

Un problema molto serio è quello della sovrapposizione di strumenti di incentivazione nazionali e regionali. La distribuzione regionale dei fondi di alcuni incentivi per l’autoimprenditorialità (Resto al sud) o per i grandi investimenti innovativi (Contratti di sviluppo) mostra chiaramente che una regione, la Puglia riceve una quantità minima di fondi. Questo dipende dall’esistenza di strumenti regionali analoghi a quelli nazionali, che si sovrappongono, a detrimento della stessa regione. Sarebbe auspicabile una programmazione che eviti queste sovrapposizioni definendo ambiti di intervento nazionali e regionali o strumenti complementari. Una operazione ovviamente complessa per la quale servirebbe la massima collaborazione istituzionale.

La Commissione dovrà, se possibile, anche rifuggire dalla tentazione di adottare il classico approccio lassista a priori per cui il compito della politica è di fatto quello di rendere meno stringenti le condizioni di accesso e più generosi tutti gli incentivi. Nel caso di Resto al sud per esempio, una misura che ha funzionato molto bene, l’incentivo alla imprenditoria giovanile è stato nel tempo esteso fino a 56 anni e il fondo perduto aumentato dal 35 al 50%. Tuttavia questo apre la strada un uso improprio dell’incentivo, ad esempio da parte di imprenditori che potrebbero finanziarsi in proprio o col sistema bancario. Una disponibilità erga omnes di fondo perduto a volontà in effetti distrugge il sistema bancario privato, anche per motivi psicologici, e rischia di rendere definitivamente assistita l’attività imprenditoriale. Non è questo lo scopo di sistema sano di incentivi.

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Economia

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