24 giugno 2020   Articoli

Maturità troppo prevedibile

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Nei giorni scorsi sul Corriere del Mezzogiorno un bellissimo articolo di Viola Ardone ci ricordava che l’esame di maturità è in effetti per la nostra società il rito di passaggio all’età adulta ed per questo viene chiamato ‘di maturità’. L’esame di quest’anno, impoverito nelle prove ma la cui tensione è da un lato aumentata dall’incertezza della situazione, dall’altra diminuita dalla pervasiva convinzione che nessuno potrà essere bocciato si presenta senz’altro come una anomalia.

Forse si poteva essere più coraggiosi col senno di poi e conservare le prove scritte, utilizzando più spazi e con maggiore disciplina. Comunque questo è solo uno dei modi in cui ci siamo resi conto che la scuola è in Italia ritenuta un servizio meno importante, quello che si può sospendere senza grossi costi. In questo c’è da un lato un pregiudizio tutto italiano sull’utilità (o inutilità) della scuola. Dall’altro una pessima lettura economicistica per cui tutto quello che non genera direttamente PIL, è secondario. Al contrario, come sanno gli economisti avvertiti, la maggior parte dei fattori che genereranno PIL in futuro sono probabilmente servizi e investimenti che ne generano poco nell’immediato.

Ma se l’Esame di Stato è in effetti un rito di passaggio dobbiamo chiederci quale sia la natura del rito che abbiamo scelto e se sia adeguato a garantire la maturità di coloro che vi si sottopongono. Inutile dire che ogni società ha i propri riti. In genere essi sono scelti nell’area che realmente caratterizza il passaggio all’età adulta e quindi sulla abilità che la società ritiene essenziale alla sua sopravvivenza e prosperità. Le società più arretrate ovviamente scelgono per i maschi riti fondati sulla guerra o sulla difesa. Il caso forse più noto è ovviamente quello di Sparta. I giovani venivano abbandonati nudi e privi di tutto tranne un’arma con la consegna di sopravvivere anche derubando gli iloti e possibilmente uccidendone qualcuno. Si trattava di fatto di una prova di determinazione, anche all’omicidio, e di abilità bellica. Le doti che erano considerate necessarie alla difesa della Città.

Nonostante le differenze, tutti i riti di passaggio hanno alcune caratteristiche comuni. Si tratta di prove nelle quali al di là delle abilità ci si mette alla prova sul piano del coraggio, della capacità di affrontare rischi in parte sconosciuti, di gestire la situazione in autonomia sia da un punto di vista intellettuale che emotivo.

L’Esame di Stato trasla la prova su abilità intellettuali e questo è coerente con le necessità delle società moderne. Ma in che misura possiamo ancora dire che l’Esame di stato nella sua configurazione attuale sia una prova di vita? Pochissimo a mio parere. Da un lato la prova viene continuamente sdrammatizzata e svuotata del suo Pathos da una retorica che enfatizza la necessità di non provocare traumi. Dall’altro i rischi, intesi come la possibilità che la valutazione dell’esame diverga dalle valutazioni effettuate dagli insegnanti degli anni di corso a fronte di una prova non adeguata, diventano sempre minori. Eppure non è detto che questo sia un fatto che genera maggiore equità. Un esame approfondito, con prove scritte e orali, potrebbe rivelare la mediocrità di un alunno e la sorprendente brillantezza di un altro, che magari sono rimaste in ombra nei corsi. O le differenze tra studenti che abbiano avuto l’accidente di incontrare insegnanti severi e altri che al contrario non abbiano fronteggiato difficoltà eccessive.

La prova dell’Esame di Stato come è oggi è troppo prevedibile, rivela pochissimo di nuovo. Nel tentativo di diminuire l’incertezza e di rendere meno traumatica ogni esperienza dei nostri figli potremmo in effetti trasformarli in adolescenti a vita. La logica delle competenze e della costruzione del proprio curriculum, pur valida in termini generali, se spinta oltre una certa soglia può trasformarli in semplici esecutori di piccoli compitini ben definiti e prevedibili. Il contrario di uomini e donne. 

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