17 dicembre 2020   Articoli

Aiuto, la scuola è scomparsa

Viola Ardone - Repubblica

La scuola italiana è un dramma beckettiano. Riapre, non riapre, prima di Natale, a orari scaglionati, con i doppi turni, a giorni alterni, dopo le feste, all’anno nuovo forse, ma forse no. Meglio aspettare ancora un po’. “Non succede niente, nessuno viene, nessuno va, è terribile,” dice Estragone a Vladimiro nell’attesa del misterioso Godot, e intano i loro dialoghi si fanno sempre più rarefatti e vaghi, nel tentativo di annodare la disperazione alla speranza col tenue filo di una sospensione che si rinnova ad ogni passo.

“Meno male che c’è la Dad, prof.”, mi ha detto stamattina Teresa, una delle mie alunne più brave, “ci possiamo svegliare tardi, infilare la felpa direttamente sul pigiama, fare lezione in pantofole e, durante la pausa, andare in cucina a mangiucchiare qualcosa”.

Teresa è una di quelle che da quando le scuole hanno chiuso – dalla metà di ottobre, in Campania, per ogni ordine e grado – ha continuato a chiedermi, con cadenza più o meno quindicinale, quando saremmo ritornati in classe. Le settimane sono passate, le regioni hanno attraversato tutto lo spettro dei colori emergenziali, i negozi hanno chiuso e poi riaperto, e non è successo niente: “nessuno viene, nessuno va”, direbbe Beckett. Anzi qualcuno va, a guardar bene: tutti gli alunni che hanno abbandonato le lezioni a distanza e che, con ogni probabilità, non saremo più in grado di riportare in classe. Per il resto la scena è sempre quella: facce che compaiono e scompaiono nel monitor, ogni giorno un po’ più pallide e spettinate. “Ma non eri tu,” chiedo a Teresa, “quella che non vedeva l’ora di tornare in presenza, con i compagni?”. Teresa non arrossisce alla mia provocazione. “Prof.,”, risponde, “ci ho riflettuto molto e mi sono detta: come avremmo fatto noi senza la Dad?”.

È proprio questo il punto: che cosa avremmo fatto se non avessimo avuto la Dad? E la risposta è che evidentemente avremmo fatto di tutto per riaprire le scuole, avremmo trovato il modo di riportare i bambini e i ragazzi in classe, avremmo creato le condizioni, ci saremmo assunti il rischio – perché di rischio si tratta: sia ben chiaro – per tutelare il loro diritto all’istruzione. Che è probabilmente quello che si è pensato in molti Paesi europei che sono ricorsi alla chiusura delle scuole solo come ultimo anello di una catena di provvedimenti drastici.

Ma per fortuna c’è la Dad, ha ragione Teresa. Per fortuna l’emergenza è diventata un’abitudine, comoda e dannosa come tutte le abitudini. Per fortuna i nostri ragazzi stanno a casa, non se ne vanno in giro, non devono nemmeno confrontarsi con i compagni, con il loro giudizio, con le interrogazioni alla cattedra, con i compiti in classe, con i primi amori. Meglio così, va. Meglio restare qui, in definitiva. Aspettiamo ancora un altro po’. Fino a quando la situazione non migliora, fino a quando i trasporti non saranno incrementati, fino a quando le strutture scolastiche non saranno adeguate al numero degli studenti, fino al prossimo decreto.

Tanto c’è la Dad e gli studenti, almeno loro, non vanno “ristorati”, perché quello che perdono, lo perdono per sempre e nessuno glielo potrà restituire. E anche quelli che hanno manifestato in diverse città portando il loro “banco” in mezzo alle strade alla fine se ne sono tornati a casa, derubricati a eccentrico fenomeno di folklore, quello degli studenti che vogliono andare a scuola.

Intanto noi continuiamo a lavorare attraverso le vasche di vetro dei nostri schermi, a fare l’appello tutti i giorni, a tentare la gimcana tra connessioni deboli, software che crashano, alunni che “escono e poi rientrano”, che si “mutano” e si “smutano” per rispondere alle nostre domande o per eluderle, aspettando il giorno in cui si tornerà in classe, se si tornerà.

Ségnati i compiti per le vacanze di Natale, Teresa, scrivili sul diario, come ai bei vecchi tempi, quelli meravigliosamente scomodi della didattica “in vicinanza”: vi assegno un testo da leggere, Aspettando Godot, una commedia dell’assurdo in cui c’è un tale che si fa attendere da due tizi che alla fine a furia di aspettare non riescono più muoversi da dove sono. Veramente assurdo, non trovi?

“Allora andiamo?”, chiede Vladimiro.

“Andiamo”, risponde Estragone.

E non si muovono.

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