25 ottobre 2020   Articoli

Whirlpool, una crisi simbolo nell'era pandemica. Il governo riapra i giochi

Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno

Crisi aziendali che si protraggono fino al limite di rottura, come per la Whirlpool di Napoli e speriamo non per l’Ilva di Taranto. Affanno oggi e incertezza sul domani per tante attività economiche colpite dal Covid-19 e dalle sue conseguenze che si riaffacciano inquietanti con la seconda ondata della pandemia. Questo autunno di preoccupazione, e per alcuni di angoscia, chiede alle istituzioni – nazionali, regionali, locali – di saper ritrovare capacità di governo reale dei processi, in un’assunzione piena di responsabilità da parte di tutti.

La vicenda Whirlpool, nella sua crudezza, segnala che non c’è artificio comunicativo che possa sostituire l’azione seria e metodica volta a predisporre le condizioni per una soluzione dei nodi giunti al pettine. Il precipitare della situazione in questo scorcio di ottobre è certamente frutto della rigidità della multinazionale americana ma anche se non soprattutto, spiace dirlo, del modo in cui negli ultimi diciotto mesi la vertenza è stata gestita da parte governativa.

Quando, più di un anno e mezzo fa, l’azienda comunicò l’intenzione di chiudere la produzione di lavatrici nel sito di via Argine, il Governo di allora si limitò a stigmatizzarne il comportamento e a minacciare la revoca di finanziamenti pubblici cui comunque l’azienda aveva dichiarato di non essere più interessata, avendo deciso di non investire sullo stabilimento. E invece di affrontare il negoziato entrando nel merito dei problemi che le imprese di elettrodomestici insediate in Italia e in Europa si trovano a fronteggiare nel contesto del mercato internazionale, e quindi delle possibili strategie di un’azienda come Whirlpool, si scelse la strada miope “o lavatrici o niente” rinunciando a incalzare la multinazionale su una possibile diversificazione produttiva.

Il “niente” che ora incombe con la cessazione dell’attività produttiva a partire dal prossimo 31 ottobre prelude alla pura e semplice cancellazione da marzo 2021 di 420 posti di lavoro, con il dramma che ne deriva per i lavoratori e le loro famiglie, e la perdita di un sito produttivo importante per tutto il territorio. Sta ora al Governo tentare di riaprire i giochi invitando finalmente azienda e sindacati a un confronto su strade diverse dalla mera capitolazione dell’una o dell’altra parte: andare quindi a “vedere le carte” di quella diversificazione produttiva e di quel coinvolgimento di altri imprenditori cui la multinazionale si era a suo tempo dichiarata disponibile, esplorando ogni possibile alternativa e verificandone la solidità in termini di piano industriale e di serietà degli interlocutori. La solidarietà vera, non di facciata, con i lavoratori Whirlpool si misura sull’azione concreta per individuare una soluzione imprenditoriale capace di stare sul mercato e di offrire quindi solide prospettive di occupazione produttiva.

Questa drammatica crisi aziendale si dipana sullo sfondo della più generale incertezza economica e sociale dovuta all’incalzare della seconda ondata di Coronavirus. Un nuovo lockdown generalizzato metterebbe a rischio la tenuta del tessuto economico e occupazionale del Paese. Per evitarlo, però, è necessario intervenire subito con misure mirate ed energiche sugli snodi che, favorendo assembramenti, alimentano la diffusione del contagio. Si deve riuscire a salvaguardare non solo – come nella primavera scorsa - le attività produttive strettamente indispensabili (agroalimentare e farmaceutica, nonché logistica e commercio ad esse connessi), ma la spina dorsale del sistema economico: l’industria nel suo insieme e i servizi a questa connessi, oltre che agricoltura e servizi di pubblica utilità (energia, acqua, rifiuti, trasporti). Per non parlare naturalmente dei servizi sanitari e scolastici.

A tutte le attività che subiranno maggiormente l’impatto delle misure restrittive – turismo, ristorazione, attività ricreative e culturali – vanno garantiti sostegni monetari adeguati a consentire loro di affrontare la “traversata del deserto”. E vanno subito predisposti gli strumenti per utilizzare il Recovery Fund e sostenere quella ripresa degli investimenti pubblici e privati che è indispensabile per tenere aperta la prospettiva.

Serve a questo punto un’assunzione vera di responsabilità da parte delle istituzioni: riconoscere in cosa è risultata inadeguata la preparazione per affrontare la seconda ondata; ricostruire subito il senso della coesione tra i diversi livelli di Governo, senza inutili rimpalli di responsabilità, per adottare le misure mirate che sono e saranno necessarie; concentrare le risorse sulle situazioni di sofferenza e sugli investimenti, evitando di sprecarle in distribuzioni a pioggia cui purtroppo, dalle anticipazioni disponibili, non sembra sottrarsi a sufficienza la legge di bilancio in preparazione.

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