29 marzo 2023   Interventi

L'intervento di Marta Dassù al convegno "Dal Mediterraneo il futuro energetico europeo"

Merita

La guerra in Ucraina, e la crisi energetica successiva (ma i segni di tensione sui prezzi del gas erano precedenti), hanno contribuito a mettere a nudo la delicatezza del trilemma energetico: come equilibrare la necessità della transizione, la sicurezza delle forniture ( che era stata data per scontata fino al 2022) e infine la più complessiva sostenibilità del sistema energetico che si intende costruire, salvaguardando la competitività delle imprese e tenendo sotto conto controllo i costi economici-sociali. 

Qui mi limiterò ad affrontare tre punti relativi alla sicurezza delle forniture, di gas in particolare.

 

Primo punto: è vero che esiste una nuova centralità del Mediterraneo, dal momento che la guerra in Ucraina ha spostato gli equilibri geoeconomici ed energetici da Est verso Sud? 

La mia risposta è sì, essenzialmente per due ragioni. Primo: la guerra continuerà, sta diventando una guerra di perseveranza: non esistono ancora le condizioni per una trattativa di pace. 

Lo scenario più probabile è che né l’Ucraina né la Russia riescano a prevalere nettamente sul campo. Questo significa che il conflitto sarà protratto, con i rischi che ciò comporta; e che l’esito possibile potrà essere nel tempo un cease-fire di fatto, senza accordo di pace. Nella sostanza uno scenario di tipo coreano, in cui l’Ucraina diventerebbe una sorta di Corea del Sud, o la nostra Berlino Ovest, che dovremmo ricostruire sul piano economico e rafforzare su quello militare. La Russia, che graviterà sulla Cina come junior partner, manterrebbe il controllo di parti del territorio ucraino e resterebbe fuori dal sistema occidentale.

Guardando all’esito finale, rientra negli interessi europei che il Mar Nero non diventi un mare dominato da Turchia e Russia, visto le connessioni al Quadrante mediterraneo attraverso gli stretti dei Dardanelli; e che l’Ucraina mantenga, con Odessa e la costa Sud, lo sbocco al mare. Il mare di Azov è già un lago russo. Mantenere l’accesso al Mar Nero sarà decisivo per il futuro della sicurezza e dell’economia dell’Ucraina.

In una ipotesi del genere, di conflitto progressivamente congelato, le sanzioni economiche contro la Russia resterebbero in vigore e le forniture energetiche della Russia all’Europa si ridurranno ulteriormente: l’embargo sul petrolio è ormai totale e le forniture residuali di gas (che sono passate nel caso dell’Italia da 29 miliardi di metri cubi nel 2021  a 10 circa) finiranno nel tempo per azzerarsi. 

In sostanza: le infrastrutture legate al rapporto energetico con la Russia (nel caso dell’Italia principalmente il gasdotto TAG, Trans-Austrian gas, via Tarvisio) perderanno centralità. E l’Italia dovrà cercare – come già sta facendo – nuovi fornitori nel Mediterraneo e in Africa, dotandosi delle infrastrutture necessarie per il trasporto di tale gas. 

Questa è la seconda regione: nel nuovo mix energetico, che vedrà comunque il gas come fonte “ponte” della transizione verde, i fornitori sostitutivi della Russia sono nell’immediato Algeria (che è già diventata il primo fornitore di gas dell’Italia, coprendo il 40% del nostro fabbisogno con gli attuali 25 miliardi di metri cubi). Si aggiungono l’ Azerbaijan (con un possibile raddoppio del gasdotto Tap, che arriva in Puglia: dagli attuali 9.5 miliardi di metri cubi a 20 nel 2025), e la Norvegia (la via Nordica fornisce oggi 6,9 miliardi di metri cubi all’anno, attraverso il gasdotto TENP, che arriva al Passo di Gries). E va naturalmente sommato il Greenstream dalla Libia a Gela (oggi 2,7 miliardi di metri cubi, nonostante la crisi politica interna).

Entro il 2025, a tali forniture di aggiungeranno (sotto forma di GNL), forniture dal Qatar, dalla Repubblica del Congo, dall’Angola, dall’Egitto, dalla Nigeria e dal Mozambico, più forniture americane.

In sostanza: le forniture energetiche russe verranno sostituite da forniture dal Sud, in parte sotto forma di GNL: l’Italia, grazie ad ENI e ai rapporti storicamente stabiliti con Algeria e Libia, si è mossa con particolare rapidità. Ma la sfida è avere dotazioni infrastrutturali (pipelines e rigassificatori) adeguate e in tempi rapidi.

Il vero interrogativo è se investimenti nel gas si rivelino sovra-investimenti, visto l’aumento della quota di rinnovabili. Lo scenario net zero di AIE prevede un calo importante della domanda di gas in Europa e le rinnovabili sono aumentate del 22% nel 2022. In generale la guerra ha messo in tensione gli imperativi della sicurezza e della transizione. Un nuovo equilibrio non sarà facile da trovare, sarà un mix instabile.

 

Secondo punto: il nodo della sicurezza

Lo spostamento da Est a Sud del baricentro geo-economico dell’Italia pone comunque problemi di sicurezza che è decisivo non sottovalutare. La crisi ucraina ha dimostrato la vulnerabilità collegata alla dipendenza da un unico fornitore. La lezione è che l’unica risposta possibile consiste nella diversificazione dei fornitori e delle fonti. E’ un punto molto importante se guardiamo ai regimi – Algeria, Libia – con cui sviluppiamo relazioni energetiche. Ugualmente, per quel che riguarda la transizione verde, dipendere eccessivamente dalla Cina per la manifattura dei materiali rari potrà diventare un problema molto serio.

Oggettivamente,  quello che appare come un piccolo mare chiuso (il Mediterraneo) ha in realtà implicazioni geopolitiche molto rilevanti: visto da Nord a Sud (la prospettiva più frequente) connette Europa, Africa e Medio Oriente (con l’accesso alle risorse del Golfo); visto da Ovest a Est (prospettiva spesso sottovalutata) connette Atlantico e Pacifico tramite Suez e Bab el Mandeb (lo stretto che congiunge il golfo di Aden e il  Mar Rosso). Non a caso il bacino è conteso fra grandi potenze, fra cui la Cina, e potenze regionali in ascesa. 

Se il Mediterraneo allargato ha questa centralità, quindi, è perché non dobbiamo vederlo solo nella dimensione Nord/Sud ma anche in una dimensione orizzontale, da Gibilterra al Mar Rosso verso l’Indopacifico. 

Quanto all’ordino o al disordine regionale, il tradizionale garante della sicurezza marittima  – l’America - mantiene una funzione importante per arginare la Russia. La Russia è presente in molti dei paesi rilevanti per l’Italia per ragioni energetiche o di sicurezza (dalla Libia alla fascia del Sahel, con il ritiro della Francia e l’avanzata della Wagner). Nel medio termine, è realistico pensare che gli Stati Uniti si disimpegnino parzialmente per concentrarsi sul contenimento della Cina nella regione dell’Indopacifico; e chiedendo all’Europa, che non sembra affatto preparata a farlo, di occuparsi degli equilibri mediterranei. A quel punto gli attori geopolitici che hanno cominciato a occupare gli spazi lasciati dall’America – Turchia, ma anche Cina e potenze regionali, dall’Egitto ai paesi del Golfo – eserciteranno la loro influenza.

 

 

Guardando brevemente a questi attori e alle priorità dell’Italia:

La Turchia ha un’agenda interventista sia nel Mediterraneo che nei Balcani, gioca un ruolo importante in Libia a favore di Tripoli. E’ probabilmente in una situazione di ovestretch, l’economia è in un pessimo stato è molto improbabile ma non del tutto impossibile che Erdogan perda le elezioni del maggio 2024, ha già perso i sindaci delle grandi città. Vedremo che effetto politico avrà la tragedia del terremoto.

Ankara può porci dei problemi in vari modi, come nota Gaetano Massara in un paper preparato per Aspenia: controllando la Tripolitania, controlla parte dei flussi migratori verso l’Italia; può causare interruzioni al gasdotto Greenstream e presidiare la sponda Sud del vitale stretto di Sicilia. Inoltre, attraverso l’accordo con la Libia sulle zone economiche speciale cerca di estendere i propri diritti di sfruttamento alle risorse del Mediterraneo orientale, in rivalità con l’Italia (si tratta delle risorse legate a East-Med, cui la Turchia è contraria, che coinvolgono Israele, Cipro e Grecia). Infine è un paese di transito del gas azero. In sostanza, è un interlocutore quanto mai delicato per noi: cosa di cui tenere conto quando si pensa a progetti infrastrutturali che la coinvolgono.

La Russia ha ripreso la penetrazione in Africa e in Medio Oriente, usando fra l’altro la Wagner. Controllando la Cirenaica, ha un potere di interdizione sull’utilizzo dei maggiori giacimenti libici di gas. Può usare Mali e Repubblica centro-africana per metterci sotto pressione con l’arma dei migranti. Come dicevo, qui assistiamo al ritiro della Francia e alla inesistenza di una vera politica europea. Un accordo fra Italia e Francia sarebbe necessario.

Con l’Algeria abbiamo firmato accordi importanti, presenta un profilo di rischio meno rilevante di quanto non apparisse fino a poco tempo fa, il regime è stato infatti rafforzato dalla crisi energetica del 2022; ma il problema di una forte dipendenza da un singolo fornitore autoritario, collegato da accordi militari alla Russia, non va sottovalutato.

In Libia la divisione e lo stallo appaiono cristallizzati. Turchia e Russia hanno in parte diminuito il loro profilo perché la componente militare è meno rilevante, Haftar – il ras militare della Cirenaica - è stato in parte scaricato da egiziani ed emiratini. L’Egitto – con cui dobbiamo ricostruire un rapporto - conduce una mediazione parallela anche con Tripoli. Lo Status quo è instabile ma resiste perché le parti si dividono le risorse energetiche.

La Tunisia è un problema crescente, sia per le rotte migratorie sia perchè con la combinazione della repressione governativa e della crisi economica cade l’ultimo bastione di speranza nel cambiamento del 2011. Sono decisivi gli aiuti economici del Fondo monetario, e l’Italia sta esercitando una pressione in questo senso con Parigi.

Come si vede è un quadro frammentato e instabile. Esistono opportunità, certo. Ma anche notevoli rischi di sicurezza.

Ovviamente le infrastrutture di approvvigionamento energetico sono vulnerabili.

In breve: lo sviluppo delle infrastrutture presuppone una politica di sicurezza per proteggerle, il che a sua presuppone che l’Italia abbia capacità militari e di intelligence in raccordo con Washington e con gli alleati europei. 

E’ un interesse vitale per la nostra economia che il Mediterraneo sia stabile e aperto agli scambi e questo per noi significa essenzialmente che Libia e Algeria siano partner relativamente affidabili. E significa contenere l’influenza di Russia e Turchia e trovare un accordo con la Francia. 

Diventa essenziale che l’Europa riconosca di avere bisogno, non solo per ragioni migratorie ma anche energetiche, di una politica comune verso il Mediterraneo e l’Africa. Che dovrà avere vari volet, fra cui un importante canale di sviluppo economico.

 

Terzo punto: è credibile che l’Italia diventi uno snodo per l’Europa?

La sfida, per noi e per il nostro Mezzogiorno, è di diventarlo, ma non è scontato né facile. Vedremo se avremo effettivamente un surplus di energia, vedremo se i rischi legati al possibile sovradimensionamento infrastrutturale saranno mitigati da alcuni fattori, come la possibile miscelazione del gas metano con gas “verdi” l’idrogeno “verde” prodotto con l’utilizzo di FER. 

Soprattutto gli scenari dipendono da molte condizioni, fra cui la eliminazione delle strozzature esistenti nelle dorsali di trasporto da Nord a Sud del paese.

L’Italia potrà garantire la propria sicurezza energetica e candidarsi a diventare un pezzo della sicurezza europea, a patto di indurre Bruxelles a combinare la tradizionale prospettiva Nord-Sud con quella Sud-Nord. 

Riflettere sul corridoio Sud-Nord significa anche riflettere su una partnership fra Europa e Africa, con la loro complementarietà.

Questa conclusione – la possibilità di passare da terminal ad hub -  deve tenere conto delle difficoltà già emerse, per esempio relative alla possibile costruzione del gasdotto EastMed e di un gasdotto di collegamento tra Italia e Spagna. Come si vede fattori geopolitici e rivalità intra-europee sono vincoli negativi di cui tenere  conto. Resta che lo spostamento del baricentro geopolitico ed energetico verso Sud sono per l’Italia un’occasione per riguadagnare centralità anche in Europa.

Ultima notazione: l’approccio europeo alla green transition rischia di essere “squeezed” dalla competizione tecnologica Usa-Cina, se l’Europa non riuscirà  a costruire una filiera più autonoma. Per ciò che riguarda la Cina abbiamo una forte dipendenza dalla manifattura dei materiali critici, essenziali per le fonti rinnovabili: il rischio è di passare dalla dipendenza da una fonte (Russia) a una dipendenza dalle tecnologie (Cina).

Con gli Stati Uniti, visti i crediti fiscali di IRA (di per se’ una buona notizia sul fronte della lotta al climate change), sarebbe necessaria una misura di accordo (specie sul “local content”): ma non pare affatto semplice, mentre è scontata una competizione sui sussidi.

Sul lato europeo, si tratta di usare i fondi PNRR in modo più mirato e rispondere ad IRA non con aiuti di stato nazionali (come sta avvenendo) ma con fondi comuni che lascino pensare che si vada effettivamente verso un’Unione dell’energia sostenibile, cosa che per ora non è.

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