31 luglio 2022   Articoli

Francesco Compagna, la scossa politica venuta dal Sud

Giuseppe Ossorio - Repubblica

Francesco Compagna nel suo impegno di intellettuale e di politico pose Napoli e il Mezzogiorno al centro dell’interesse nazionale. Ebbe come  riferimento costante il pensiero filosofico di Benedetto Croce, il suo liberalismo metodologico, completandolo con l’apporto apparentemente eterogeneo di Gaetano Salvemini, la raffinata originalità politica espressa attorno a “Il Mondo” di Mario Pannunzio e il forte legame politico con Ugo La Malfa, autore di un saggio memorabile “Il Mezzogiorno nell’Occidente”, pubblicato nel primo articolo della rivista “Nord e Sud” che Francesco Compagna fondò nel 1954. Importante è stata la sua intesa culturale con Vittorio de Caprariis, Rosario Romeo e Renato Giordano fin dal primo Editoriale, il cui inizio, molto significativo, riportiamo. Molto significativo fu il collegamento con Giuseppe Galasso. 

Abbiamo intervistato cinque intellettuali sull’impegno di Francesco Compagna, sulla necessità di chiarire le prospettive del Mezzogiorno, mentre si intende varare un disegno di legge sulla sciagurata idea  del Regionalismo Differenziato. Ne abbiamo parlato con il Presidente della Svimez, il professore Adriano Giannola,  con lo storico dell’economia, Amedeo Lepore, con gli storici Roberto Balzani e Luigi Mascilli Migliorini, con il dottore Italo Ormanni, che è stato procuratore distrettuale antimafia per il Lazio, Francesco Compagna gli chiese la prima analisi strutturata della criminalità organizzata in Campania, pubblicato sull’ultimo numero di “Nord e Sud” 

ADRIANO GIANNOLA

D. Quanto ha contribuito la proficua stagione della rivista Nord e Sud, fondata da Francesco Compagna nel 1954, nella politica per lo sviluppo dell’economia del Mezzogiorno? Come economista e Presidente della Svimez hai la visione completa di quanto abbia inciso nel dibattito nazionale l’attività di intellettuale e di politico di Francesco Compagna.  

R. Per comprendere lo spessore e il ruolo squisitamente nazionale di Francesco Compagna è centrale il nesso con Ugo La Malfa: sia quello della Nota Aggiuntiva del 1962 e quello del 1957 della stesura con Saraceno delle clausole di salvaguardia per l' Italia del Trattato di Roma. 

Di Francesco Compagna è l'assiduo, laico impegno alla Programmazione Democratica che accompagnò lo sviluppo nazionale  e l' emancipazione del Mezzogiorno. Riandare a quell'impegno  interroga sul che fare oggi. L’articolo di Ugo La Malfa "Il Mezzogiorno nell'Occidente" con il quale Compagna apre il primo fascicolo di Nord e Sud è attualissimo e carico di significati.  Erano i tempi di una centralità di Napoli, politica e culturale, nei quali Nord e Sud si confronta con il comunista Cronache Meridionali, ed è presente sistematicamente a Milano e a Roma, fedele all'impegno per la Programmazione Democratica, un  leitmotiv  di Nord e Sud, liquidato e dismesso tra gli anni '80 e '90 in parallelo alla svendita di pezzi importanti dell'IRI. 

Si impone davvero una riflessione a valle della sbornia di liberismo e localismo alla quale dagli anni '90 si associano devastanti conseguenze a nord e a sud, che impongono la riedizione di un intervento straordinario targato PNRR, varato per salvare il grande malato d'Europa. 

L'azione pubblica di Francesco Compagna uomo di governo ha  assunto una continua responsabilità di regia ed una salda connessione tra l'intellettuale e la politica. La rivista Nord e Sud  ha stimolato la complessa elaborazione di matrice azionista da Guido Dorso a Manlio Rossi Doria sul terreno della Programmazione Democratica. Il politico Francesco Compagna condivide il percorso della SVIMEZ di Gabriele Pescatore e Pasquale Saraceno.  Significativo quanto Manlio Rossi-Doria scrive nel 1958 in una lettera  a Compagna, "...Dal tuo e dal mio scritto come da quelli di Saraceno e così via vien fuori una piattaforma politica per il Mezzogiorno molto concreta. Dobbiamo obbligare tutti uno per uno a prendere netta posizione al riguardo e questo potrà avvenire negli anni prossimi tanto meglio quanto più saremo svincolati dalle attività di partito". 

Siamo alle soglie del miracolo economico; il Mezzogiorno è e sarà allora  protagonista attivo. Oggi, alle soglie della estinzione della Questione Meridionale per eutanasia, è lecito chiedere di sapere se la missione del PNRR possa fare "risorgere" il Mezzogiorno, ripreso per i capelli e, con lui, tutto il Paese.

D. E’ anche vero che mentre le condizionalità poste dalla U.E. come obiettivi del PNRR dovrebbero rappresentare una vincolante opportunità di programmazione di sviluppo per il Mezzogiorno, si sta per varare un disegno di legge sulla sciagurata idea  del Regionalismo Differenziato. Alla Lombardia, Veneto, Emilia Romagna si sono aggiunte Piemonte e Toscana tutte animate da pretese che trovano ampio favore in ambiti ministeriali. Tu che ne pensi?

R. Occorre avere ben in mente che intervento straordinario e industrializzazione del Sud furono fondamentali per il miracolo economico del Paese  reso possibile, con il trattato di Roma del 1957 corredato da  clausole di salvaguardia riservate all' Italia redatte da La Malfa e Saraceno che - protagoniste IRI ed ENI -  consentirono la prima industrializzazione del Sud.        

Oggi reindustrializzare il Sud è  essenziale per "salvare" anche il Nord e questo dovrebbe essere il reale, lucido obiettivo del PNRR. In sintesi un progetto che si chiama Mediterraneo: logistica, porti, retroporti, Zone Economiche Speciali, autostrade del mare che fanno dell'Italia la base logistica continentale dell'Unione e il Sud protagonista al centro della "nuova" globalizzazione. Tre motivi almeno dovrebbero aiutare: 1) l' Unione non ha prospettive di espansione ad Est; 2) essa insegue l' integrale decarbonizzazione come obiettivo  di "sopravvivenza"; 3) deve riposizionarsi verso Sud per governare e partecipare allo sviluppo del continente africano. 

Per cogliere i frutti  della riconversione di prospettiva dovremmo essere in grado (e a questo principalmente deve servire il PNRR) di attrezzare  adeguare infrastrutture, tecnologie, innovazione e capitale umano. Servizi, digitalizzazione, piattaforme logistiche, energia rinnovabile e tanta geotermia, agricoltura di precisione autostrade del mare per una rivoluzione logistica green  per la quale l'Italia "opportunamente attrezzata" può diventare rapidamente leader.   

Va perciò assolutamente in senso opposto il ritorno di fiamma sull' Autonomia Differenziata, che pare si abbia in cantiere.

D. La sterzata liberista ha lasciato nel Mezzogiorno qualche effetto positivo o è stata solo causa del declino dell'apparato industriale e dell'immiserimento delle condizioni del mercato del lavoro e del precariato che ormai lo sovrasta soprattutto al Sud? 

R. Il liberismo italiano dopo Einaudi, riguardo al Sud, è stato rivisitato e a lungo officiato dalla "bocconiana" austerità espansiva in virtù della quale si è chiuso il Mezzogiorno nel ghetto delle politiche di coesione a scala regionale. La resistibile discesa del Nord nelle graduatorie europee invece di chiarire le idee ha alimentato una "disperata" ricerca che individua nell'autonomia rafforzata - fuori dalla Costituzione e dalla legge 42 del 2009 - una via di uscita alla propria deriva.

Quanto a come realizzare il cambio di rotta, certo l' intervento straordinario è oggi privo dello strumento straordinario "Cassa. Non ritengo che Francesco Compagna chiederebbe una novellata Cassa per il Mezzogiorno, perfettamente consapevole che dopo tanti anni, il sistema Italia ha mezzi ordinari a sufficienza per organizzare un intervento democraticamente pianificato e programmato. Allo scopo sarebbe più che sufficiente ricorrere ad istituzioni solide e numerose, Università, Politecnici, Laboratori e Centri di ricerca che - per rimanere nel comparto pubblico - hanno le competenze per progettare e portare a compimento le opere che i 300 ingegneri della Cassa progettavano e mettevano "a terra". Sono convinto che il pragmatismo liberale di Francesco Compagna avrebbe attinto a questa missione per farne la stella polare della Programmazione Democratica.

AMEDEO LEPORE

D. L’apertura dell’Editoriale del primo numero di Nord e Sud, nel dicembre del 1954, è di un’attualità significativa. "Nord e Sud non stanno qui a indicare i termini di un'astratta contrapposizione fra gli interessi delle regioni più sviluppate e le aspirazioni delle Regioni più povere; ma piuttosto i termini elementari in cui si riassumono oggi tutti i problemi italiani, come problemi d'integrazione fra Settentrione e Mezzogiorno d'Italia, nel quadro delle più moderne esigenze d'integrazione fra Europa occidentale continentale ed Europa meridionale mediterranea”. Pensi che oggi ci siano forze intellettuali, politiche, nelle Istituzioni che abbiano l'interesse e il vigore di determinare una tendenza positiva per il futuro del Sud? 

R. La citazione è di straordinaria modernità - a dimostrazione dello sguardo lungo di Francesco Compagna - e mostra l’essenza della nuova questione meridionale, di recente riproposta nelle analisi della Banca d’Italia. Il “problema meridionale” non è più rappresentato dall’antico dualismo economico e territoriale italiano. Innanzitutto, perché il Mezzogiorno odierno deve fare i conti con il riassetto di spazi geografici, equilibri di potere e modelli economici a livello globale. Dopo la pandemia e la guerra, non troveremo un mondo meno esteso e rinchiuso in confini nazionali o regionali, ma avremo una forma di globalizzazione ad arcipelago, imperniata su una maggiore selettività della crescita, una differenziazione dei trends di sviluppo e una inedita combinazione di fattori tra intervento pubblico e iniziativa privata. In questo contesto c’è un’ampia prospettiva per il protagonismo del Sud. Inoltre, il Mezzogiorno, anche se ripete la storia di un divario in aumento con il resto del Paese, in questi decenni è andato avanti e presenta significative discontinuità interne, tra imprese e talenti di eccellenza e aree di ritardo e stagnazione. Infine, l’avvicinamento dell’area mediterranea a quella dell’Europa continentale è il nuovo campo di intervento di un Mezzogiorno al centro della sfida per la modernizzazione economica e sociale. La gravità dei problemi attuali è, per la prima volta, analoga a quella del dopoguerra. 

D. Tu sei uno storico economico con un bagaglio di studi proiettato in un orizzonte largo.  Pensando all'impegno di Francesco Compagna a favore del Mezzogiorno, ritiene che sia stata opportuna la soppressione della Cassa per il Mezzogiorno nel 1984 sostituita dall'Agenzia per la Promozione e lo Sviluppo del Mezzogiorno, poi anch'essa soppressa nel 1992?

R. L’esperienza della Cassa per il Mezzogiorno ha conosciuto un quarto di secolo eccezionale (1950-1973) in stretta collaborazione con la Banca Mondiale, contribuendo a una doppia convergenza tra il Sud e il Nord del Paese e tra l’Italia e le aree più avanzate dell’Europa. Dopo di allora, la Cassa subì una decisa involuzione, causata sia dal cambiamento della congiuntura internazionale, con l’avvento della stagflazione e il ritorno a un vecchio modello produttivo, sia dalla formazione delle Regioni, secondo uno schema di gestione del consenso anziché di programmazione, riducendo il principale strumento dell’intervento straordinario da tecnostruttura efficiente a centro per una “intermediazione impropria”. La fine del ciclo produttivo della Cassa, dunque, può essere collocato a metà degli anni Settanta e non alla scadenza temporale fissata dalle norme. Oggi, alla luce di un trentennio di solitudine del Sud, eccetto in brevi fasi di risveglio (come il 2015-2018), occorre puntare a strutture già esistenti, quali l’Agenzia per la Coesione territoriale.

D. L'attenzione della Svimez, di cui tu sei consigliere, in termini di analisi e prospettive dell'economia meridionale, trova con la "Fondazione Merita" animata da Claudio De Vincenti, e da altri studiosi, un grado forte di impegno per suscitare attenzione da parte del Governo e del sistema imprenditoriale nazionale. 

R. L’importanza della seconda edizione di Sud&Nord, svoltasi a villa Nitti di Maratea e intitolata non a caso “Passaggio di fase”, è stata nella centralità riservata al confronto sui contenuti di analisi e di proposta, nell’ampia partecipazione di studiosi, forze sociali e istituzioni e nella individuazione di percorsi per un Mezzogiorno moderno, capace di governare i processi di trasformazione. Il Mediterraneo è il nuovo baricentro della crescita europea nella sua funzione di fondamentale cerniera tra Asia, Africa - la nuova frontiera emergente - e Paesi atlantici, all’interno dei processi di riorganizzazione globale. 

ROBERTO BALZANI

D. Tu insegni Storia contemporanea all’Università di Bologna e hai avuto occasioni di seguire idealmente e da vicino l’impegno e l’attività di Francesco Compagna. Perché tornare a Compagna dopo tanti anni? Che senso può avere per un lettore di oggi?

R. Gli intellettuali veri, nel nostro Paese, sono una specie in via di estinzione.  Intendo quelli che, senza smettere mai di studiare, analizzare e interpretare, si dedicano a formare l’opinione pubblica, accettando di misurarsi con la durezza e rischi della politica attiva. Francesco Compagna, a partire dall’esperienza di “Nord e Sud”,  è appartenuto a questa specie.  Il loro impegno era animato da una convinzione: che l’Italia, dalle sue origini risorgimentali, avesse scelto l’Occidente e che lì stesse il suo futuro. Il che valeva a maggior ragione per il Mezzogiorno. Per entrambi, l’orizzonte occidentale era quello delle istituzioni democratiche, dei diritti civili e sociali, delle alleanze per combattere insieme il dispotismo e l’arretratezza

D. Quindi non si trattava solo della via obbligata in tempo di “guerra fredda”?

R. No. L’Occidente stava nei cromosomi dell’Italia unita. Di più: il modello liberal-democratico, che aveva accompagnato la modernizzazione del Paese, era stato come sappiamo condiviso a tutte le latitudini dagli unitari, e da quelli meridionali con particolare convinzione. L’alleanza con gli Stati Uniti d’America rappresentava l’espressione contingente, dopo il 1945, di un’opzione che veniva da molto più lontano.

D. E che aveva a che fare la scelta occidentale con la “Questione Meridionale”?

R. Secondo Francesco  Compagna, molto. Il problema storico dell’arretratezza, intorno al quale si erano affaticate generazioni di intellettuali dall’Ottocento, poteva essere affrontato e risolto all’interno di un perimetro di crescita, plasmato su standard sociali, economici, culturali, ambientali leggibili su scala continentale. L’elemento analitico e comparativo tendeva a costruire categorie omogenee, a inserire in permanenza il Sud all’interno di una geografia economica immaginata nel segno dell’integrazione. 

D. Quindi: non rinunciare all’Occidente?

R. Il messaggio, in sintesi, può essere questo. L’occidentalizzazione come unica modernizzazione possibile. Era capitato ai tempi del Risorgimento, in condizioni di marginalità diffusa davvero devastante. Poteva e può capitare ancora.

LUIGI MASCILLI MIGLIORINI 

D. Il “nuovo meridionalismo” afferma che non sia possibile affidarsi al solo agire del mercato e che, invece, un nuovo intervento pubblico, seppure dalle modalità diverse, dovrà avere un ruolo attivo dello Stato. Secondo te, Francesco Compagna l'avrebbe sostenuto?

R. Non vi è dubbio che i rilievi e le preoccupazioni espresse anche di recente dal presidente della Svimez, Adriano Giannola, appartengano a quella tradizione di meridionalismo liberale e democratico di cui Francesco Compagna rappresenta espressione di alto e consapevole livello.  L’adesione a valori intellettuali che trovavano nell’economia di mercato un persuasivo riferimento, non ha mai impedito di vedere nello Stato, nell’azione pubblica, un attore fondamentale di quel processo di progressivo riallineamento delle diseguaglianze sociali e territoriali che nella “questione meridionale” si sommano drammaticamente. 

D. Non pare anche a te che oggi la politica sia capace di raccontare il Sud, ma di intervenire poco per il Sud?

R. Le politiche economiche adottate in campo europeo soprattutto a partire dalla crisi del 2008 hanno generato una impossibilità, direi, strutturale per l’adozione di strategie di intervento di largo respiro. Colpevolmente o inconsapevolmente  che sia, anche la politica del nostro Paese, vistisi ridotti gli strumenti indispensabili dell’intervento pubblico ha rinunciato anche solo a pensare la possibilità di modificare squilibri di sistema. 

D. In che modo la storia del Mezzogiorno post unitario ci può dare qualche ricetta? quali gli errori da non ripetersi, quali le strade da riprendere?

R. Lo dirò con una sola parola, che sarebbe piaciuta a Francesco Compagna e a Giuseppe Galasso: democrazia. Per entrambi la Repubblica era il  ritrovato punto di partenza, dopo le tragedie della dittatura e della guerra, di un’Italia del Risorgimento nata con un deficit di partecipazione e di afflato collettivo che aveva reso problematica la sua pur generosa vita unitaria. Il Mezzogiorno rappresentò allora, come rappresenta ancora oggi, non l’unica,ma certo la più vistosa aporia democratica dello nazione italiana. 

ITALO ORMANNI

D. Presidente Italo Ormanni, lei si è occupato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta di indagini sul crimine organizzato. Per questa sua esperienza Francesco Compagna, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con un interesse quasi profetico per il nefasto binomio criminalità-economia, le chiese nel 1982 un “Rapporto sulle camorre” che venne poi consegnato al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini e pubblicato sulla rivista “Nord e Sud”. L’attualità dell’analisi contenuta in quel Rapporto può essere motivo di amarezza o delusione?

R. No, perché l’impegno di molti comunque ci conforta ed è servito alla crescita di una cultura della società, senza la quale ogni iniziativa di prevenzione o repressione è destinata a risultati modesti. Ma ci fa capire che, per ragioni contingenti, abbiamo confuso l’emergenza con le priorità. Abbiamo lavorato sulle conseguenze provocate dagli strumenti di cui si servono le mafie mettendo in secondo piano il fine del crimine organizzato. 

L’arricchimento patrimoniale?

Non solo il denaro, ma l’economia e la finanza d’impresa che a sua volta porta alla possibilità di condizionare il mercato del lavoro e dunque il consenso della collettività e di suddividere il territorio in aree di influenza che comprendano la politica e l’amministrazione.

La sensibilità verso questo tema era una novità?

Le prime norme speciali risalgono alla seconda metà degli anni Cinquanta e negli anni Ottanta le condizioni socioeconomiche erano, guarda caso, simili: rilancio dell’economia e al Sud ricostruzione dopo il terremoto del 1980. La Commissione Parlamentare Antimafia del 1984, presieduta dal parlamentare campano Abdon Alinovi, per la prima volta guardò al crimine organizzato come fenomeno eversivo dell’economia e della politica. Giovanni Falcone ed io fummo chiamati come componenti esterni in un quadro di aggiornamento delle strategie di contrasto che si era aperto nel 1982 quando, in concomitanza con la redazione del Rapporto Compagna, fui chiamato dalla presidenza del Consiglio Spadolini come consulente sui temi dell’antimafia. Il principio fondante delle indagini patrimoniali era la cosiddetta inversione dell’onere della prova: lo Stato presuppone l’illiceità dei patrimoni ingiustificati ed è l’indagato a dover dimostrare il contrario. Questo principio è stato progressivamente smantellato dalla giurisprudenza.

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