18 novembre 2022   Articoli

L'errore di dividere il Paese

Circolano da alcuni giorni testi cangianti di un Disegno di Legge a firma Calderoli che norma il percorso per la concessione dell’autonomia differenziata richiesta da 3 regioni del nord. Si tratta in realtà di un testo molto chiaro e lineare, anche se realizza un progetto totalmente sbagliato.

Il percorso ipotizzato passa da una definizione delle intese che riguarderebbero tutte le materie, compresa l’istruzione, con le Regioni, l’approvazione delle bozze di intesa in Consiglio dei Ministri (CdM), l’acquisizione di un parere di commissione parlamentare, l’approvazione definitiva con eventuali modifiche dal CdM e il passaggio parlamentare in sola approvazione, senza possibilità di modifiche. Il testo che in una prima versione richiedeva sulle materie oggetto di servizi essenziali la definizione preventiva (entro un anno) dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), non lo richiede in quella più recente. Questa sinceramente mi sembra l’unica vera anomalia del testo, la definizione dei LEP è un passo necessario almeno per alcuni servizi. 

La resistenza all’autonomia è stata condotta fino ad oggi su due piani. Da un lato si sosteneva che l’autonomia fosse incostituzionale rispetto alla stessa norma che la prevedeva. Dall’altro che l’autonomia avrebbe tolto risorse al Mezzogiorno. E’ molto dubbio che i LEP aggiungerebbero risorse per il Mezzogiorno su molte materie, sulla istruzione ad esempio è del tutto falso, la gran parte delle regioni del sud ha più risorse pro-capite, per studente e più insegnanti per studente per di più pagati meglio per anzianità.

Ciononostante è innegabile che l’autonomia sarebbe una iattura per il paese e per il Mezzogiorno. I veri motivi però non vengono declinati in un dibattito ormai intossicato dall’egoismo territoriale del sud e del nord. L’autonomia è un disastro per ragioni economiche e politiche molto più generali di quelle invocate. Il decentramento, che sotto certe condizioni, può essere desiderabile, in Italia ha in realtà aumentato la conflittualità territoriale, rendendo sempre più difficile il perseguimento di obiettivi generali della collettività. In un paese che nei prossimi anni potrà essere chiamato a sfide di proporzioni epiche, in particolare sui conti pubblici, la frantumazione ulteriore dei poteri è una ricetta per il disastro.

Il decentramento in termini generali funziona sotto due condizioni: che ci sia responsabilità fiscale dei soggetti che gestiscono la spesa e che le funzioni decentrate possano in effetti essere gestite meglio, in questo caso dalle Regioni, senza che ci siano significativi effetti negativi da mancanza di coordinamento. Sotto il primo profilo abbiamo già visto come funziona il regionalismo italiano. Le regioni non hanno, né possono avere, responsabilità fiscale e questo genera continui conflitti con lo Stato e sulla ripartizione delle risorse, che rafforzano politicamente le figure dei Governatori. Ogni mancanza di servizi è responsabilità della mancanza di fondi (dello Stato, vissuto come una entità esterna e arcigna), ogni successo è merito del Governatore. Lo Stato è senza faccia, nessuno elegge direttamente il Presidente del Consiglio e in Italia cambia 3 volte in ogni legislatura (non parliamo dei Ministri). I Governatori invece anche quando palesemente hanno commesso errori disastrosi, rimangono figure quasi paterne, difensori del territorio contro tutti i nemici esterni che vorrebbero depredarci o ci derubano da mattina a sera delle risorse (sempre pubbliche) che meritiamo. 

Per quanto riguarda la maggiore efficienza dei servizi regionali e i vantaggi del coordinamento, la sanità e la pandemia ci hanno offerto significativi spunti. L’attribuzione delle funzioni in materia di istruzione sarebbe assurda, i benefici di una istruzione nazionale ben coordinata sono chiaramente soverchianti e le regioni che hanno chiesto l’autonomia sono curiosamente quelle in cui l’istruzione nazionale funziona meglio in assoluto. In alcuni casi è tra le migliori in Europa secondo l’Indagine PISA dell’OCSE. 

Certamente però gli effetti più disastrosi della autonomia sarebbero politici, l’accelerazione del processo di disunione del paese e l’approfondimento delle rivendicazioni territoriali che potrebbero rendere difficile affrontare le sfide collettive che ci aspettano. A peggiorare il tutto, il fatto che la Costituzione com’è non contiene alcuna salvaguardia (ad esempio una clausola di supremazia) che consenta una marcia indietro. Lo abbiamo già visto in vari paesi oltre che il nostro: una volta che il Genio è fuori dalla bottiglia non c’è modo di ricacciarcelo se non con una crisi sistemica. Ottima quindi l’iniziativa del Senatore Villone che punta finalmente a una riforma della Costituzione, e non ad una immaginaria incostituzionalità, che escluda l’ulteriore frantumazione dello Stato. 

Certo è difficile non ricordare l’entusiasmo negli anni 90 di alcuni intellettuali per il decentramento, l’ipotesi era allora che avrebbe formato una nuova classe dirigente e riscattato definitivamente il meridione. E come scordare che l’unica vera occasione per assestare un colpo definitivo al regjonalismo frazionista e irresponsabile degli ultimi venti anni, la riforma costituzionale del 2015, fu di fatto affossata da una violenta campagna anche in quel caso di intellettuali (quasi sempre gli stessi) con un obiettivo allora ritenuto molto più importante: far fuori Matteo Renzi per tornare a comandare in un partito sempre più piccolo. 

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