09 maggio 2022   Articoli

L’economista Giuseppe Coco: «Il Superbonus produce inflazione. E vi spiego perché»

Giuseppe Coco - Osservatorio Riparte l'Italia

Le uscite del premier contro il superbonus appaiono ad alcuni pericolose in quanto una provocazione a una parte della sua maggioranza. Tuttavia per valutare se si tratti di un fatto politico il superbonus va valutato nel merito.

Ci sono numerose ragioni per cui si tratta di un incentivo problematico da cui bisogna rientrare velocemente, alcune contingenti altre di lungo periodo. Premetto che al contrario di alcuni consiglieri economici del Presidente del Consiglio non sono pregiudizialmente contrario agli incentivi fiscali, tutt’altro. Qualche anno fa alcuni prestigiosi economisti tentarono una vera campagna contro le cd. tax expenditure, incentivi che lo Stato corrisponde automaticamente in termini di risparmio di imposta per investimenti o comportamenti che si ritiene benefici per la comunità.

Personalmente ritengo che in generale siano un ottimo modo per conseguire obiettivi meritevoli, con poca intermediazione, ovvero i danari vanno effettivamente al tipo di spesa meritevole, connessa in genere a delle esternalità. Inoltre consente di scegliere le spese da incentivare tra quelle che generano un maggior effetto sulle economie locali piuttosto che su importazioni e commercio internazionale (con l’inquinamento addizionale indotto). Ma a tutto c’è una eccezione e un limite. Negli ultimi anni le tax expenditure sono aumentate vertiginosamente. Esiste un bonus ormai per qualunque spesa ritenuta vagamente meritevole e la sensazione è che molti di essi, anche minuscoli, siano piuttosto il prodotto di pressioni ormai generalizzate dei più disparati produttori.

Con il superbonus abbiamo varcato la soglia della ragionevolezza. Le ragioni sono le seguenti:

  1. Un incentivo che rimborsi più del valore del lavoro effettuato consente alle parti di accordarsi su valori dei lavori eccessivi e/o addirittura privi di riferimento reale.
  2. Esistono ovviamente modi di limitare questa tendenza (e sono stati adottati costi standard, etc.) ma comportano costi di controllo notevoli, sono necessariamente imperfetti in momenti di alta inflazione ed esistono mezzi per aggirarli. Ogni tentativo di imporre camicie di forza ai contratti va incontro a costi enormi di enforcement;
  3. Oltre ad essere direttamente costoso, ciò rende limitati i benefici dell’applicazione automatica dell’incentivo, una delle principali ragioni per usare i bonus rispetto ad altri strumenti di policy e aumenta l’incertezza per gli operatori economici.
  4. Gli effetti inflattivi non hanno peraltro bisogno di speculazione come descritta sopra per manifestarsi. Immaginate che in un mercato improvvisamente si manifesti una domanda anomala, molto superiore a quella passata. Gli operatori possono reagire in due maniere: se non ci sono colli di bottiglia aumentano le quantità offerte velocemente, e la domanda viene servita magari a prezzi leggermente più alti, ma ragionevoli. Ma immaginate che invece un qualche fattore produttivo non si adegui tanto facilmente (ad esempio il numero di ponteggi è grossomodo fisso nel breve), oppure che gli operatori decidano che dato che l’enorme domanda è necessariamente temporanea, alcuni investimenti di lungo periodo non saranno remunerativi. Perché comprare la gru o nuovi ponteggi se tra 2 anni la febbre delle ristrutturazioni finirà necessariamente? In questi casi il bonus si scarica solo parzialmente sull’attività economica. In parte si scarica sui prezzi.
  5. L’incremento dei prezzi sollecita poi gli operatori a chiedere una revisione degli stessi costi standard in un circolo vizioso molto pericoloso. Nel frattempo tutti gli interventi nel campo dell’edilizia diventano più costosi e alcuni che, senza incentivi, potrebbero effettuare interventi non lo faranno ai nuovi prezzi.

In questo momento è imprudente alimentare un meccanismo produttore di inflazione. Le argomentazioni di cui sopra peraltro prescindono dalla presenza di illegalità, ma è inevitabile che un meccanismo che non comporta alcun costo per le parti generi fenomeni diffusi di utilizzo strumentale. In particolare la cessione del credito senza vincoli ha una straordinaria capacità di generare illegalità come traspare dagli accertamenti dell’agenzia delle entrate.

Infine si discute molto degli effetti sulla crescita. Pur essendo innegabile l’effetto positivo delle misure la spesa stimata dalle domande presentate ad oggi è di più di 30 miliardi, quasi due punti di PIL. Di fatto una parte enorme di quella crescita è un effetto meccanico della spesa pubblica; spesa ricordiamolo in deficit. Cosa resterà di quanto speso? Un positivo efficientamento energetico delle abitazioni certamente, ma a un costo enorme per le casse pubbliche in un paese che ha già un enorme problema di debito pubblico, pur avendo una ricchezza delle famiglie tra le più alte in europa.

C’è poi un discorso da fare sull’orizzonte di questa crescita. L’edilizia è un settore importante che sicuramente può dare il contributo decisivo nella ripartenza, ma nel lungo periodo non possiamo aspettarci di continuare a crescere ristrutturando case all’infinito. Se non saremo in grado di produrre in maniera efficiente altro, anche le nostre case non varranno più niente.

Il superbonus (e gli altri collegati) risponde ad una corretta esigenza. E’ utile incentivare il recupero e la manutenzione di immobili esistenti e l’efficienza energetica, anche con intensità importanti di incentivo, perché l’esternalità è consistente. E la cessione del credito è una buona idea considerando che corregge anche la distorsione per cui rende possibile l’utilizzo della misura a soggetti con scarse disponibilità. Ma sotto questo profilo è dubbio che il risultato sia stato adeguato rispetto a questo obiettivo. Circa l’85% per cento delle domande riguarda unità abitative indipendenti e questa non è esattamente la tipologia di abitazione preferita dai poveri (solo il 15 riguarda i condomini).

Gli eccessi che si sono chiaramente manifestati andavano disinnescati da tempo. Il clima di incertezza che si è creato attorno alla permanenza della misura peraltro nuoce alla sua bilanciata efficacia di lungo periodo. Eliminarla ora tout court è pericoloso perché potrebbe determinare un crollo improvviso del mercato delle costruzioni, ma andava senz’altro programmata una strategia di uscita graduale con decalage delle intensità di aiuto che, senza determinare una ulteriore corsa speculativa all’apertura del cantiere prima della scadenza, consentisse alle imprese di impostare una strategia di investimenti credibili a medio termine con fiducia.

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Economia

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