04 agosto 2021   Articoli

Se il Sud non investe su se stesso

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Come ogni fine luglio anche quest’anno SVIMEZ ha presentato le Anticipazioni al suo Rapporto Annuale. Si tratta sempre di una occasione importante per riflettere sulle politiche per il Mezzogiorno sulla base della ricchezza di dati che SVIMEZ è in grado di offrire, che però in genere si perde nel mare di commenti ovvi sul divario e sul suo fatale incremento. 

Il titolo quest’anno era Nord e Sud: uniti nella crisi, divisi nella ripartenza. Nel Rapporto in realtà si scopre che, come sapevamo, il Sud ha sofferto un po' di meno nella crisi circa un punto di Pil e 1 e mezzo di consumi meno del nord. Ma le previsioni per 2021 e 22 sono di una ripresa decisamente meno forte. Nel quadro comunque di un rimbalzo positivo dell’intera economia nazionale per certi versi sorprendente.

Un aspetto interessante che aiuta una lettura integrata dei dati è che una volta tanto la ripartenza più lenta non può essere attribuita alla asimmetria di distribuzione nelle politiche economiche. Le ultime manovre in effetti contribuiscono molto di più, in termini relativi, alla crescita del Mezzogiorno che a quella del centro-nord. Le cause della lentezza della ripartenza del sud invece sono le stesse che ci hanno bloccato in termini relativi nel decennio passato. La crescita del nord, quel poco e quando c’è, dipende da esportazioni e investimenti. Componenti che diventano sempre meno rilevanti nel sud. Nella ripartenza queste componenti sono rimbalzate insieme ai consumi privati, e fanno tutta la differenza tra sud e nord.

Un altro aspetto interessante poco discusso è l’effetto della decontribuzione. E’ un po' presto per una sentenza definitiva, ma l’occupazione al sud sembra aver sofferto in maniera differenziale e non ci sono tracce al momento di effetti al margine di questa misura. Come molti di noi temevano, essa potrebbe risultare in un semplice costosissimo trasferimento senza contropartita.

Infine, anche in questo caso scarsamente ripresa dai giornali, è forse l’elaborazione più significativa, quella sullo stock di capitale nell’industria e nei servizi destinabili alla vendita. Come ho sostenuto varie volte, non è possibile capire il declino relativo del Mezzogiorno se non si guarda agli investimenti privati ancor più che a quelli pubblici, e non se ne traggono le dovute conseguenze. Lo stock di capitale nell’industria cala in maniera drastica al sud dal 2008 al 2016 per effetto del calo degli investimenti, per poi stabilizzarsi dal 2017 per effetto del forte potenziamento del Credito d’Imposta Sud da parte del Ministro De Vincenti. Nei servizi invece, per l’assenza del credito d’imposta, la frana dello stock di capitale perdura anche dopo il 2016. La dinamica delle stesse grandezze al nord è tutt’altro che entusiasmante ed è corretto dire che si tratta di un male italiano. Ma il sud sta disinvestendo capitale netto privato a una velocità allarmante. In queste condizioni è illusorio aspettarsi una ripresa della produttività che sola può generare poi nuova occupazione e crescita. 

Che fare a fronte di questa dinamica? La risposta di molti meridionalisti è sempre la stessa: spesa pubblica! Ma il complesso dei dati indica che alcune tipologie di intervento hanno effetti trascurabili. Considerando che la dimensione dell’intervento nella crisi è stata maggiore al sud, nonostante una minore perdita di PIL, il problema principale è chiaramente la qualità dell’intervento pubblico. La fiducia necessaria a convincere gli stessi meridionali a investire nella loro terra può tornare solo se tornerà nelle nostre comunità il gusto per le sfide collettive costruttive a lungo termine, se ci sarà qualità dei progetti di investimento pubblico, se le PA si adegueranno a standard diversi da quelli del passato. Al momento però molti sindaci sembrano più interessati a firmare manifesti e rivendicare quote di budget inesistenti che a mobilitare le loro amministrazioni per capire cosa si può fare di concreto coi fondi del PNRR.

Argomenti
EconomiaSud

Firma ora il manifesto

Il futuro del Sud è inscritto nel futuro d’Italia e d’EuropaLo sviluppo del Mezzogiorno e il superamento definitivo della questione meridionale è oggi più che mai interesse di tutta l’Italia.
* campi obbligatori

Seguici sui social