22 ottobre 2020   Articoli

Rivendicazioni senza contenuti

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

La polemica sulla distribuzione territoriale della spesa pubblica continua ad infuriare senza sosta. Dopo un anno in cui da varie parti, soprattutto da Eurispes e SVIMEZ sono arrivate bordate sullo scippo di fondi al sud, 60 miliardi secondo rappresentanti delle reputabili istituzioni, una risposta prima o poi doveva arrivare. A darla è stato L’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani, una istituzione nota per l’equilibrio e la chiarezza delle sue analisi. In questo caso però non tutte le argomentazioni sono condivisibili (alcune sì). Ma la reazione illustra anche quanto possa essere dannosa un’ottica rivendicazionista.

Nell’articolo di Galli e Gottardo su OCPI si fa notare che il calcolo di SVIMEZ risente di alcuni problemi abbastanza gravi. Il primo e più grave riguarda la spesa pensionistica, la voce più grossa del nostro bilancio, il 17% del PIL del 2020. E’ abbastanza ovvio che la spesa pensionistica pro-capite al nord sia molto più elevata perché vi risiedono cittadini che hanno versato più contributi. Molti più contributi.

Secondo Itinerari Previdenziali la generosità del sistema pensionistico è responsabile del 70% del nostro debito. Come ho fatto notare in un precedente articolo l’enormità della nostra spesa pensionistica (anche in rapporto ai contributi) dipende da due fattori: dalla generosità passata dei regimi pensionistici basati sul sistema retributivo, con anticipi di età pensionabile incredibili, e dalla spesa per assistenza erogata in forma di pensioni (pensioni sociali, integrazioni al minimo). Della prima hanno beneficiato soprattutto cittadini settentrionali, della seconda soprattutto meridionali. In ogni modo, includere nella spesa totale da distribuire territorialmente le pensioni è un errore abbastanza grave.

L’Osservatorio poi evidenzia altri due presunti ‘errori’. Il primo argomento è noto. Si dovrebbe guardare solo alla spesa della Pubblica Amministrazione non alla PA allargata (che comprende le imprese pubbliche locali e nazionali). Questo argomento, pur corretto alla lettera, è un po' più dubbio. Mentre non è certamente appropriato attribuire alle società partecipate dallo Stato, specie se quotate in borsa, obiettivi di allocazione territorialmente equa della spesa, non sembra nemmeno sano che la spesa sia molto squilibrata troppo a lungo. Le grandi imprese pubbliche devono prestare attenzione anche al Mezzogiorno nel loro stesso interesse. Ovviamente senza automatismi, quote di spesa imposte e tenendo sempre presente una tendenziale sostenibilità economica dell’investimento a lungo termine. Per quanto riguarda le imprese pubbliche locali invece, che generano gran parte della sperequazione, che si finanziano in gran parte a tariffa e spesso sono pubbliche solo in minima parte, francamente pretendere una distribuzione egualitaria della spesa è perlomeno velleitario.

Infine l’Osservatorio applica una correzione per le differenze nel potere di acquisto. Questa correzione appare davvero strana. Secondo questa logica la spesa pubblica pro capite nelle diverse aree dovrebbe essere commisurata al potere d’acquisto. Di fatto ed implicitamente questa logica mortifica in parte la necessità di una redistribuzione territoriale, uno dei pilastri su cui si basa il patto di appartenenza alla nostra comunità nazionale.

L’analisi dell’OCPI è quindi condivisibile per certi versi, non per altri. Soprattutto per l’ultimo aspetto sembra una reazione uguale e contraria alle argomentazioni sullo ‘scippo’. Nei giorni scorsi SVIMEZ ha opportunamente corretto il tiro con argomentazioni un po' più bilanciate.

Ma questa storia evidenzia l’errore generale che si commette quando si adotta un’ottica rivendicazionista. Una maggiore attenzione sulle spese per lo sviluppo e alla efficienza della spesa è necessaria. Ma ricordando che la redistribuzione di risorse avviene solo nel contesto dell’appartenenza alla comunità nazionale. Adottare una retorica sistematicamente rivendicazionista, perdipiù con argomenti dubbi, alimentando l’illusione che si tratti solo di un problema di risorse, non aiuterà il Mezzogiorno a uscire dalla situazione attuale.

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