23 maggio 2020

Un nuovo patto sociale tra lo Stato e le imprese

Gaetano Manfredi - Corriere della Sera

Caro direttore, l’analisi di Ferruccio de Bortoli su «La classe dirigente che serve» rappresenta un autorevole spunto di riflessione sul futuro del Paese, inteso — per quanto mi riguarda — a breve e a medio termine, e non oltre, perché troppe volte si parla di futuro semplicemente per buttare la palla in tribuna. La partita, invece, va giocata subito. È questione di opportunità: adesso si può.

Se c’è un effetto positivo del Covid19, è quello di aver accelerato i processi decisionali. Io stesso, in appena tre mesi, ho potuto approvare un numero di provvedimenti per i quali, in precedenza, occorrevano anni. Una svolta epocale, che ha portato anche a un investimento record dello Stato sull’Università e la ricerca scientifica. Ovviamente, questi risultati non dipendono soltanto dalla mia buona volontà. Sono il frutto del lavoro dell’intera squadra di governo, che coinvolge anzitutto il presidente Conte e il ministro Gualtieri, e delle lungimiranti sollecitazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Prima del manifestarsi dell’emergenza Covid, nel suo messaggio di fine anno, il capo dello Stato ha parlato delle nostre università, dei centri di ricerca, delle prestigiose istituzioni della cultura come «di un patrimonio inestimabile di idee e di energie per costruire il futuro».

Il presidente aveva colto già allora il mutato clima del Paese, svelatosi in tutta la sua potenza con l’insorgere del coronavirus. Larga parte della società italiana, confrontandosi con l’emergenza, si è finalmente convinta che la ricerca migliora la vita di tutti. Ma senza una qualità diffusa non potremo colmare il deficit di classe dirigente che percepiamo nei vari segmenti della società italiana.

Questo è anche il punto di vista di de Bortoli, che poi lancia l’allarme su una possibile nuova povertà educativa. Pure io ho pubblicamente denunciato un simile pericolo; tuttavia il governo ha poi preso tutte le precauzioni possibili — finanziarie e organizzative — proprio perché, per la ripartenza, consideriamo fondamentali le Università e le Scuole di alta formazione statali e non statali. È anzitutto qui che può formarsi l’indispensabile «capitale umano» di cui parla de Bortoli, con il quale condivido l’idea che i privati più abbienti possano sviluppare un progetto di sostegno alla formazione di una nuova classe dirigente.

Ma puntare soltanto sul mecenatismo non credo sia sufficiente: lo Stato non può liberarsi della responsabilità primaria dell’alta formazione e deve assicurare investimenti adeguati. Invece il sistema produttivo potrebbe, in questo processo, impegnare risorse importanti su tre temi fondamentali — competenze, formazione e salari — peraltro utili per far crescere le loro aziende e quindi l’intera società.

Ancora troppe imprese italiane, soprattutto le più picco e, hanno un deficit di competenze. Questo si riverbera sulla produttività e sulla scarsa capacità, quando necessario, di innovarsi. Per essere chiari: pur rappresentando spesso storie di successo, in Italia le riconversioni industriali sono rare.

Secondo tema: la formazione. Nella contemporaneità l’alternanza tra i tempi del lavoro e quelli dello studio vanno rapidamente accorciandosi a vantaggio della produttività. Mi piacerebbe che non soltanto le università ma anche le aziende italiane, con un impegno condiviso da parte del sindacato, fossero disponibili a investire sulla formazione permanente integrando le modalità tradizionali con le opportunità delle tecnologie digitali che l’emergenza ci ha mostrato.

Quanto ai salari, annota de Bortoli, diplomati e laureati «dal 2009 hanno ottenuto impieghi meno elevati e peggio retribuiti rispetto alle generazioni precedenti». Qui c’entra anche lo Stato con una tassazione sul lavoro che si è fatta negli anni sempre più impegnativa. Questo governo ha disposto un taglio del cuneo fiscale — non risolutorio, per carità — che almeno traccia una prima positiva inversione di tendenza. Mi permetto però di avanzare un suggerimento agli imprenditori: per aggiungere qualità alle aziende è necessario prevedere salari che valorizzino le competenze in una dimensione europea, altrimenti continueremo a perdere giovani talenti in favore di altri Paesi.

Immagino, infine, un’obiezione che potrebbe essermi avanzata, la seguente: gli imprenditori dovrebbero fare tutte queste cose. E lo Stato? Sarà mai capace di dimostrarsi efficiente? Ritengo di sì perché, ribadisco, l’inerzia pubblica e sociale sembra essere superata. Certo, come sostiene il premier Conte, dobbiamo rendere l’Italia più appetibile, io aggiungo anzitutto per i nostri giovani, senza i quali saremmo tutti più poveri. Cito ancora il presidente Mattarella: «Ia fiducia va trasmessa ai giovani, ai quali viene sovente chiesta responsabilità, ma a cui dobbiamo al contempo affidare responsabilità». Per questo le ristrette classi dirigenti attuali dovrebbero sforzarsi di allargare i propri confini, facilitando il sorgere di quella che chiamo «la classe dirigente diffusa».

Insomma, affinché competenza, meritocrazia, ricerca, semplificazione non restino le solite parole vuote, è necessario innestare un grande e coraggioso processo riformatore non più rinviabile, un «Patto sociale per il futuro» che coinvolga lo Stato e i diversi attori sociali, a partire dalle imprese e dai sindacati, uniti intorno a una parola d’ordine decisiva. Questa parola è innovazione. E vale per tutti noi.

Firma ora il manifesto

Il futuro del Sud è inscritto nel futuro d’Italia e d’EuropaLo sviluppo del Mezzogiorno e il superamento definitivo della questione meridionale è oggi più che mai interesse di tutta l’Italia.
* campi obbligatori

Seguici sui social