23 gennaio 2023   Articoli

Campania e Puglia al top per imprese femminili e startup

Emanuele Imperiali - Corriere del Mezzogiorno

Sud Giano bifronte. Un Mezzogiorno diverso dalla solita e stantia narrazione di un’area di sottosviluppo e degrado, dove la desertificazione industriale la fa da padrona. Esiste, e va raccontato anche l’altro volto.

Quello delle eccellenze, certo, che purtroppo sono ancora poche, ma anche dei grandi numeri. E quest’ultima è la vera novità che viene a galla e conferisce forma e sostanza a un nuovo meridione. Le 407.500 imprese femminili, le 181.500 giovanili, ma anche le 119.600 costituite da stranieri e le oltre 3.200 start up sono le punte di un iceberg che finalmente tende ad emergere. 

Naturalmente sono due regioni meridionali a poter vantare i numeri più promettenti. In prima fila la Campania, con le sue 140mila imprese femminili, quasi 68mila giovanili, oltre 50mila messe su da stranieri, 1.400 start up innovative. 

Tallonata dalla Puglia, con circa 90mila femminili, oltre 37.500 giovanili, 21.600 messe su da stranieri e

poco meno di 700 start up. Ma non sfigurano neppure la Calabria, che annovera 15mila imprese straniere, più di 20.300 giovanili, oltre 44.500 femminili, 267 start up. 

E che dire della Sicilia, che nell’immaginario collettivo è solo terra di mafia e di grandi sprechi pubblici, dove invece agiscono da protagoniste 30mila aziende di stranieri, quasi 50mila giovanili, oltre 117mila femminili, 700 start up?

Fino alla piccola Basilicata, che pure può contare 2.500 aziende di stranieri, 5.600 giovanili, 16mila femminili e 156 start up. I dati di Movimprese sono elaborazioni statistiche, dietro le quali si cela la voglia di intraprendere, il desiderio di investire anche al Sud, nonostante le note diseconomie, un meridione che non si accontenta dell’assistenza e dei sussidi, e vuole affermarsi, pur tra mille difficoltà.

E’ questo il Sud al quale il Paese aspira, quel Mezzogiorno secondo motore di sviluppo come ama ripetere il presidente della Svimez Adriano Giannola. Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale alla Cattolica di Milano, è convinto non da oggi che il Mezzogiorno possa addirittura diventare il polmone d’Italia. Non solo perché è destinatario di un grande pezzo di PNRR. 

Ma perché l’idea di Mario Draghi, che oggi Giorgia Meloni porta avanti, è quella di partire dalle infrastrutture per far seguire gli investimenti. “Pensiamo al gasdotto israeliano, il progetto Poseidon che dovrebbe portare il gas in Puglia – spiega Fortis – E’ un buon modo per rendere cruciale il Meridione, perché avere il gas vuol dire avere l’energia vicino. E ciò porta con sé più manifattura, più investimenti, più capitali dall’estero”. 

Più gas in Puglia vuol dire fare della regione, e dunque del Sud, quell’hub energetico del quale parla la premier. Se nelle regioni meridionali italiane si adottasse una logica industriale, l’Italia potrebbe diventare come la Francia e la Germania, scrivono all’unisono Fortis e Alberto Quadrio Curzio nel libro “L’economia reale nel Mezzogiorno”.

Non si parte da zero. L’importante è puntare sulla capacità di uscire fuori dagli schemi delle imprese tradizionali, che pure non mancano nel Sud, per allargare lo sguardo al di fuori delle storiche associazioni di categoria.

Rompendo anche quel vizio culturale che spinge, soprattutto tanti opinion makers del Nord, a considerare il meridione come patria dei soli percettori del Reddito di Cittadinanza e culla di crisi endemiche di cui Whirlpool e Ilva sono solo gli esempi più macroscopici. 

Una lettura nuova di dati spesso sottovalutati aiuta a capire che le regioni tradizionalmente più neglette e arretrate d’Italia hanno già oggi un futuro davanti a sè che non deve certo far ignorare i problemi anche gravi che pure esistono e pesano come macigni ma non deve neppure condannare i meridionali a guardare solo alle proprie spalle e non anche volgendo un occhio al futuro.

Le eccellenze imprenditoriali hanno una funzione quasi catartica per quanti vogliano cimentarsi con il mondo delle imprese, un ruolo pedagogico e al tempo stesso rassicurante, come voler dire, ce la si puòfare anche e perfino al Sud. 

Dalla Seda international di Antonio d’Amato, specializzata nel packaging, alla Getra di Marco Zigon, che primeggia nei trasformatori di potenza, dalla Adler di Paolo Scudieri che figura tra i leader internazionali nei componenti e sistemi per l’industria del trasporto, all’aerospazio campano e pugliese. 

A un agroalimentare che a ragione e con orgoglio è uno dei settori leader del made in Italy, dalla Regina di San Marzano, che vanta oggi posizioni di leadership sui mercati esteri, a cominciare da Stati Uniti e Canada, al Consorzio della Mozzarella di Bufala che esporta in mezzo mondo, passando per i pastifici Rummo, Moccia, e tanti altri. 

Dalla liquirizia calabrese Amarelli, all’eccellenza catanese di STMicroelectronics, alla nuova realtà molto promettente di Enel Green Power che ha dato vita alla gigafactory 3Sun, la più grande fabbrica di pannelli solari in Europa, oggi alla ricerca di un partner societario per aumentare la produzione in Sicilia dagli attuali 200 megawatt a tre gigawatt. 

Dalla moda di Marinella all’innovazione di Exprivia in Puglia. Senza naturalmente sottovalutare gli armatori, da Manuel Grimaldi presidente dell'associazione mondiale di categoria, alla Msc di Gianluigi Aponte, passando per tutta la filiera della logistica.

Le medie imprese nel Mezzogiorno, recita il recente report redatto da Mediobanca, sono “merce rara ma pregiata e costituiscono un manuale di formazione per l’imprenditoria meridionale”. Il mondo finanziario e del credito non resta certo a guardare, perché, come spiega il direttore della divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, Stefano Barrese, “il Sud per noi è area chiave della banca e del Paese”. 

John Davis, docente dell’Università del Connecticut, ha scritto a tal proposito un interessante volume dal titolo “Un caso unico o un caso universale? La questione meridionale in prospettiva transnazionale”, nel quale, tra l’altro, dice che “bisogna smettere di trattare il Sud come un caso speciale ed iniziare ad affrontare i suoi problemi a livello regionale e locale con l’obiettivo di valorizzare la sua diversità e le potenzialità del capitale umano”. 

Un monito a non piangersi addosso.

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