27 giugno 2025   Articoli

Export, forti timori per i dazi sull'auto

Giuseppe Coco - Professore di economia politica

L’11 giugno Istat ha diffuso la consueta nota con i dati delle esportazioni del I trimestre 2025. Le notizie complessivamente sono meno negative di quanto ci si potesse aspettare ma con significative differenze territoriali, principalmente negative per il Mezzogiorno. Per capire però le dinamiche recenti e le possibili tendenze dobbiamo fare un passo indietro. Dal 2020 al 2024 le esportazioni dal Mezzogiorno sono cresciute in termini nominali del 50% per cento circa (fino a 65 miliardi di euro). Anche al netto dell’inflazione si tratta di una performance straordinaria. La crescita è concentrata però fino al 2023, con performance stratosferiche delle regioni insulari (fino al 100%). Va rimarcato che due anni di crescita spettacolare, pur importanti, sono possibili soprattutto perché la base di partenza è particolarmente esigua. Anche dopo questa crescita significativamente maggiore di quella del centro-nord (che pure ha performato bene) la quota di esportazioni dal sud sul totale nazionale rimane vicina al 10%.

Nel 2024 invece la variazione è già stata negativa (-5%), con un dato verso gli USA particolarmente negativo (-24%). Di particolare interesse anche la composizione settoriale di questo dato. Sostanzialmente a performare male nel 2024 sono le risorse naturali e soprattutto il settore automotive (-28%) con un record per le automobili (-40%).

I dati appena diffusi confermano questa tendenza sull’anno, anche se mostrano una piccola ripresa congiunturale nel trimestre. Si conferma però una significativa flessione dell’export verso gli Stati Uniti, soprattutto da Campania e Sicilia (addirittura del 57% su base annua) e degli autoveicoli, in Campania (-59%) ed Abbruzzo.

Come interpretare questi dati? Non si tratta dell’effetto diretto dei dazi perché contemporaneamente altre regioni hanno performance straordinarie dell’export verso gli Stati Uniti (Lazio e Lombardia), e talora anche nel settore dell’automotive. È in corso invece una riconfigurazione strategica globale del settore e del produttore presente nel nostro paese anche in anticipazione della potenziale entrata in vigore dei dazi.

E questo ci porta alla analisi delle cause della esplosione dell’export italiano e del Mezzogiorno negli scorsi anni e della sua fine. Considerando che gli imperfetti indicatori della produttività del lavoro nel nostro paese continuano a segnalare una preoccupante stasi (anzi un regresso) e che la nostra specializzazione produttiva non si è modificata, la causa della nostra ritrovata competitività non può che essere la fiammata inflazionistica inattesa del 2022 recuperata con molto ritardo nelle retribuzioni nel nostro paese, ma molto più velocemente nei nostri competitori. Tuttavia, questo fattore, che motiva in gran parte anche la stabilità dei conti pubblici, non può che avere un effetto temporaneo ed essere pagato con un impoverimento reale dei lavoratori. Insomma, siamo diventati temporaneamente più competitivi diventando più poveri.

Le conseguenze sulla nostra strategia verso i dazi sono semplici. Il crollo di export verso gli Stati Uniti e nell’automotive non è tanto grave per le esportazioni in sé, ma per quello che potrebbe segnalare: una diversione significativa di investimenti verso gli Stati Uniti del principale produttore presente. Si tratta di una tendenza già in atto ma i dazi potrebbero renderla urgente.

A fronte di questa minaccia una strategia attendista o, peggio ancora, accomodante come quella che sembra voler seguire il nostro governo è subottimale. Alla stessa maniera sarebbe suicida utilizzare fondi pubblici del PNRR per sostenere l’export negli Stati uniti come ha ventilato il governo nell’incontro con Confindustria di qualche mese fa. C’è da auspicare che si trattasse di un evento di comunicazione, perché questi sussidi pagherebbero i tagli di tasse americani con fondi dei contribuenti italiani, non esattamente una strategia nazionalista. È invece necessario partecipare convintamente alla elaborazione delle politiche di reazione in corso in Europa anche al fine di tutelare i settori in cui siamo più esposti.

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