12 febbraio 2021   Articoli

I miliardi del Recovery Plan, il Sud e l’illusione pericolosa

Giuseppe Coco - Riparte l'Italia

Infuriano le polemiche sull’uso del PNRR, sulla consistenza delle diverse voci di spesa e sulla sua distribuzione territoriale.

Le rivendicazioni che vediamo sui giornali si limitano a chiedere l’allocazione della quota più alta possibile di risorse per il Mezzogiorno e il massimo uso di risorse per infrastrutture di trasporto, tutte quelle possibili.

Le domande rilevanti sono invece altre tre: quali infrastrutture ci servono, quali saremo in grado di fare concretamente e specificamente quali sono compatibili coi tempi del Piano Next Generation EU.

E’ infatti illusorio aspettarsi un rilancio del Mezzogiorno solo da investimenti di trasporto, specie se sbagliamo a sceglierli.

Tra gli investimenti infrastrutturali c’è una grossa enfasi nel dibattito sulla Alta Velocità (di seguito “AV”) passeggeri che è in parte ingiustificata.

Dobbiamo valutare attentamente quali siano gli investimenti che ci convengono. Alla luce delle nuove tecnologie digitali per incontri e riunioni a distanza, molto del traffico di tipo business potrebbe svanire dalla AV anche nelle tratte che oggi sono profittevoli.

Inoltre se dovessimo transitare parzialmente o totalmente a veicoli alimentati con energie pulite (elettricità o idrogeno prodotti da rinnovabili) una delle ragioni per usare le ferrovie, con infrastrutture molto costose, potrebbe essere meno cogente.

Infine, al di là di questi dubbi generali sul futuro dell’AV, è necessario che le infrastrutture siano utili e utilizzate per produrre effetti, e alcune di quelle invocate a gran voce potrebbero non esserlo in ogni caso.

Molti studiosi ed editorialisti invocano l’Alta Velocità per la Salerno-Reggio Calabria ad esempio, o per altre tratte ancor più fantasiose. Sulla base di queste richieste viene condannata la nuova versione del PNRR che prevede per queste tratte solo la velocizzazione.

Ci sono purtroppo ottimi motivi per essere prudenti sull’AV nelle tratte che venivano identificate nella prima versione del Recovery Plan, in particolare la Salerno-Reggio Calabria e la tratta interna tra Taranto e Salerno.

L’AV richiede per giustificarsi, volumi di traffico notevoli, concentrati in grossi agglomerati urbani, non ha senso costruire una tratta per due treni al giorno. Pur essendo un importante capoluogo di regione, Reggio Calabria ha una popolazione di 170mila abitanti, troppo pochi, né ci sono centri di grossa dimensione sulla tratta per Salerno.

Le probabilità sono che i 400 km di alta velocità richiesti trasporterebbero treni vuoti per quasi tutto l’anno. A un costo di 28 milioni di euro a km, l’Alta velocità per Reggio, ci costerebbe più di 11 miliardi.

Un discorso simile, se non aggravato, riguarda l’altra infrastruttura ventilata che collegherebbe Taranto a Salerno, attraverso le montagne della lucania. Siamo sicuri che questi investimenti siano utili? L’AV è diventata negli ultimi anni un feticcio per spiegare l’arretratezza del sud, ma i ragionamenti sono confusi, non c’è evidenza degli effetti dell’AV.

Essa potrebbe essere solo un mezzo più veloce per scappare, piuttosto che per portare gente a sud. E comunque serve solo tra grandi città.

Al contrario una rete di trasporti ragionevolmente veloci che colleghi le medie città, che devono rivitalizzare i rapporti economici tra di loro, è molto più utile: Taranto ad esempio ha bisogno di collegamenti veloci con Bari, Lecce e Brindisi, non di AV, cui può collegarsi tramite Bari.

Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un forte investimento sulla mobilità all’interno delle zone metropolitane e delle medie città, infrastrutture che servono perché siamo sicuri che verranno usate. Tutti investimenti peraltro che favorirebbero classi popolari piuttosto che quelle medio alte che pretendono l’AV (e che infatti premono sui media e firmano gli appelli).

In più un progetto di AV non potrà essere completato in meno di 10 anni (l’esperienza dice molto di più) e quindi è incompatibile con l’uso anche parziale di fondi del Recovery, che devono essere allocati con impegni vincolanti (ovvero contratti) entro il 2023 e spesi definitivamente entro il 2026, pena una loro revoca.

Anche per gli investimenti più limitati la vera sfida non sarà allocare somme, ma spenderle per davvero e realizzare le infrastrutture. Una questione che pochissimi si pongono seriamente.

E’ quindi stato opportuno nel PNRR per queste tratte prevedere la velocizzazione e non l’AV.

Al contrario il piano è ancora insoddisfacente, oltre che sui collegamenti tra medie città, sugli investimenti in infrastrutture per trasporto merci e il collegamento dei porti, su cui inspiegabilmente si punta molto sui porti settentrionali, relegando quelli meridionali a una dimensione di traffico locale e turistico.

Questo confligge in effetti col progetto di fare dei porti del sud la leva per uno sviluppo industriale inserito nelle catene del valore globale, anche in relazione ai possibili fenomeni di reshoring delle attività in corso. La logica che ha ispirato la normativa sulle Zone Economiche Speciali nella scorsa legislatura. Più in generale illudersi che se il Mezzogiorno avrà strade e ferrovie, i nostri problemi saranno risolti è una illusione pericolosa.

Molto più importanti saranno le sfide sulle capacità e sulle tecnologie.

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