08 dicembre 2023   Articoli

Mezzogiorno, decontribuzione a perdere

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

E’ in corso di presentazione in varie sedi (lunedì scorso a Bari) il Rapporto Annuale dell’INPS. Si tratta di un Rapporto sul mercato del lavoro, pensioni e welfare, e sulle correlate misure di politica economica con una ricchezza di dati sorprendente, e che potrebbe a mio parere essere utilizzata molto più ampiamente dai ricercatori.

All’interno del Rapporto si fa il punto su alcune misure di politica economica degli anni scorsi, in particolare le decontribuzioni. Tra queste spicca la Decontribuzione Sud che da sola conta per il 64% di tutte le misure di decontribuzione. 

Si tratta di una misura introdotta dall’allora Ministro Provenzano, a fine 2020, in piena pandemia. Approfittando del significativo allentamento degli standard sugli aiuti di stato dell’Unione Europea, Provenzano propose una misura che diminuiva del 30% i contributi pensionistici a carico delle imprese dell’intero Mezzogiorno. 

La misura fissava anche un massimale di agevolazione per impresa. Subito alcuni fecero notare che si trattava di una misura che presumibilmente non avrebbe avuto grandi effetti sull’occupazione nel Mezzogiorno, soprattutto in rapporto alla enorme spesa.

Pagare il 30% dei contributi di tutti i dipendenti del Mezzogiorno, infatti, costava secondo le stime in bilancio tra i 4 e 5 miliardi l’anno. Ma il costo del lavoro scendeva solo del 6% (il 30% dei contributi a carico dei datori di lavoro). 

Difficile che ciò generasse una valanga di nuovi contratti. Per la verità l’uscita dalla crisi pandemica ha visto una forte ripresa del mercato del lavoro in tutto il paese, anche se in maniera maggiore al sud.

Per valutare se questa ripresa sia attribuibile alla decontribuzione bisogna capire quanto la dinamica del sud differisca da quella del nord, e quanto differiscano in particolare le dinamiche tra territori molto simili cui si applica o no la decontribuzione: INPS ha fatto un esercizio di questo tipo e ha concluso che la decontribuzione ha avuto un effetto molto limitato sull’occupazione (non statisticamente significativo con controlli rigorosi) e nessun effetto sulle retribuzioni. 

I ricercatori concludono che una incentivazione poco intensa (30%) e poco mirata ha un effetto trascurabile. Ma in realtà c’è anche un altro motivo per cui è inefficace. 

L’incentivo insiste infatti anche su una platea sterminata di contratti in essere. Di fatto questo significa che la decontribuzione è stata un gigantesco trasferimento ai datori di lavoro del Mezzogiorno. 

Quanto grande? Sorprendentemente solo il 65% dei datori di lavoro potenziali beneficiari ha approfittato della decontribuzione (che va richiesta) e quindi la spesa è stata minore dello stanziamento. Si tratta comunque di circa 3 miliardi l’anno (3,2 nel 2022). Da quanto è possibile vedere l’occupazione è cresciuta poco più di 1/10 in più del nord nel Mezzogiorno. 

Se applichiamo questa percentuale al tasso di crescita del numero di occupati nel Mezzogiorno, otteniamo un numero addizionale di 12mila occupati.

Dividendo i 3 miliardi di spesa per i nuovi occupati attribuibili, troviamo che ogni nuovo occupato è costato alle casse pubbliche 250mila euro, ovvero lo stipendio del Presidente della Repubblica. Se ipotizziamo poi che ogni nuovo occupato abbia uno stipendio medio di 25mila euro, concludiamo che, se avessimo distribuito il denaro usato con la decontribuzione per assunzioni dirette a tempo determinato, avremmo potuto occupare 120mila persone.

E’ chiaro che la mia è una provocazione, ma non troppo lontana dalla realtà. Che pagare i contributi a tutti gli occupati del Mezzogiorno non fosse una trovata geniale in termini di politiche e di potenziali effetti non era difficile da prevedere. Come detto, si tratta di una politica forse utile in pandemia a trasferire risorse alle imprese in crisi (e infatti l’Unione così l’ha interpretata, autorizzandola solo per un anno alla volta), ma inadeguata al lungo periodo. 

Il governo dovrebbe trarre le conseguenze ovvie ed eliminarla, magari con gradualità. Resta il dubbio di come mai un simile enorme trasferimento di risorse dal bilancio pubblico sia stato progettato e messo in atto fino al 2029 da un ministro di sinistra.

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