01 dicembre 2023   Convegni

Un futuro per le aree interne del Sud. Infrastrutture, trasporti, reti

Diretta 5 dicembre dalle ore 12

Martedì 5 dicembre vi invitiamo a seguire, a partire dalle 12, il nuovo convegno di Merita dedicato allo sviluppo delle Aree Interne del Sud Italia. Ne discuteremo, fra gli altri, con Massimo Bitonci, Sottosegretario al Ministero delle Imprese e del Made in Italy. 

Al centro dell’incontro intitolato “Un futuro per le aree interne del Sud. Infrastrutture, trasporti, reti” le azioni da intraprendere per rilanciare e valorizzare queste aree che, da sole, rappresentano i tre quinti dell’intero territorio nazionale. Oltre al Sottosegretario Bitonci ne parleremo con: Dario Lo Bosco, Presidente RFI, Nicolò Mardegan, Head of Instituional Affairs, Sustainability and Communications ITaly, Enel, Simona Camerano, Responsabile Scenari Economici e Strategie Settoriali, CDP, Francesco Del Pizzo, Direttore Strategie di Svliuppo Rere e Dispacciamento, Terna, Francesco Tavassi, Presidente Temi SpA e Stefano Locatelli, Vice Presidente Anci. Per la Fondazione Merita ci saranno Maria Ludovica Agrò, Responsabile scientifico ForumPA per l’attuazione del PNRR, e il presidente onorario Claudio De Vincenti.

Per rimanere aggiornati vi invitiamo a cliccare “parteciperò” sul nostro evento Facebook o Linkedin. Vi ricordiamo che, come sempre, sarà possibile seguire l’incontro in streaming a partire dalle ore 12 sui nostri canali social. a presto, Fondazione Merita

Fondazione Merita

SEMINARIO

Un futuro per le aree interne del Sud

Infrastrutture, trasporti, reti

(5 dicembre 2023)

Position paper a cura di Maria Ludovica Agrò e Amedeo Lepore

Premessa

Le Aree Interne costituiscono circa tre quinti dell’intero territorio nazionale. Le loro potenzialità di sviluppo risiedono sulla combinazione di innovazione e tradizione. Per il loro rilancio e valorizzazione sono necessari investimenti che innalzino l’attrattività di questi luoghi, invertendo i fattori di declino che le colpiscono: infrastrutturali, demografici, economici.  

Dietro una costatazione di fatto di grande evidenza come quella sopra riportata sin dall’avvio c’è stata anche molta ideologia nello scegliere l’approccio da adottare e che ha suggerito ai decisori politici per la Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI) una governance estremamente farraginosa per  esaltare la visione place-based, come se questa ottica  potesse essere risolutiva sui territori  anche di tematiche con processi dinamici in itinere di grande complessità, emergenti a livello globale,  come il fenomeno dell’urbanizzazione nelle grandi città metropolitane: fenomeno sicuramente da gestire e orientare ma che se conosciuto non può ricevere risposta solo da una, pur giusta, strategia finalizzata a rafforzare la competitività e quindi le condizioni di vita di territori in difficoltà .

La stessa sfida strategica del rafforzamento amministrativo affrontata sulla base della promozione dell’associazione fra comuni, pur essendo teoricamente perfettamente calzante al caso e istituzionalmente attraente perché attuatrice di indirizzi come quello dell’Unione di comuni che il nostro legislatore ha molto sostenuto, si è rivelata, come pure era presumibile, molto lontana dall’essere soluzione attuativa efficace. Di per sé ogni azione condotta come azione multilivello è particolarmente complessa, ma in questo caso - fra la sordità delle amministrazioni centrali nei processi di definizione degli Accordi di Programma Quadro e la difficoltà a livello locale di individuare interventi maturi tali che le Autorità di coordinamento potessero riconoscerne il  giusto livello che ne permettesse l’attuazione e quindi l’approvazione da parte dei dicasteri competenti - ha dato vita a un difficile avvio e a distanza di nove anni a risultati lontani dagli obiettivi che ci si era proposti.

La Strategia Nazione delle Aree Interne

La Strategia Nazionale delle Aree Interne è nata con la finalità di affrontare le diseguaglianze nascenti dalle condizioni di vita dei territori di quei comuni italiani più periferici, in termini di accesso ai servizi essenziali (salute, istruzione, mobilità), che hanno subito nel tempo un processo di progressiva riduzione quantitativa e qualitativa dell’offerta locale di servizi pubblici, privati e collettivi, quei servizi, cioè, che caratterizzano nella società contemporanea la qualità e il livello della cittadinanza. Per definire quali comuni ricadono nelle aree interne, vengono definiti prima i comuni “polo”, cioè realtà che offrono contemporaneamente (da soli o insieme ai confinanti): un’offerta scolastica secondaria superiore articolata (cioè almeno un liceo – scientifico o classico – e almeno uno tra istituto tecnico e professionale); almeno un ospedale sede di DEA (Dipartimento Emergenza Urgenza Accettazione) di I livello; una stazione ferroviaria almeno di tipo Silver. Le aree interne sono state a loro volta perimetrate in relazione alla distanza in termini di tempo dal polo più prossimo. 

Nella nuova classificazione delle aree interne per il 2021-2027 è rimasta invariata questa impostazione originaria, ma sono cambiate le fasce di perimetrazione definendo nuove soglie in base alla distanza in termini di tempo da questi poli. Un comune è considerato di cintura se si trova entro 27,7 minuti dal polo più vicino (erano 20 nella precedente classificazione). Tra 27,7 minuti e 40,9 è intermedio. Tra 40,9 e 66,9 è periferico. Oltre i 66,9 minuti è ultraperiferico. Sono state evitate le forzature di definire “poli” i comuni capoluoghi, tutti al Sud, anche quando non rispondono ai requisiti indicati: Isernia, Matera, Enna e Nuoro; è stata affinata per Roma capitale la griglia di classificazione.

Nel periodo 2014-2020 le aree selezionate sono state 72, con 1.070 comuni per circa 2 milioni di abitanti. Nel periodo 2021-2027 sono state aggiunte altre aree e altri Comuni: la crescita dei numeri e della complessità dei fabbisogni, molto diversi non tanto nell’individuazione dei settori che restano ben perimetrati ma nelle soluzioni, è davvero impressionante. Nonostante i pochi risultati raggiunti, la Strategia tocca oggi ben 124 Aree di progetto, che coinvolgono 1.904 Comuni, quindi un quarto di tutti i comuni italiani, in cui vivono 4.570.731 abitanti. 

Infatti le Aree di progetto del ciclo di programmazione 2021-2027 includono: 

- le 56 nuove Aree 2021-2027, che complessivamente coinvolgono 764 Comuni (dato al 2020), e in cui risiede una popolazione pari a 2.056.139 abitanti; 

- le 37 Aree identificate nel 2014-2020 che sono state confermate senza alcuna variazione del perimetro iniziale: si tratta di 549 Comuni in cui risiede una popolazione pari a 977.279 abitanti; 

- le 30 Aree identificate nel 2014-2020 che presentano un nuovo perimetro rispetto alla configurazione originaria a seguito dell’annessione e/o esclusione di Comuni: in questo caso si tratta di 556 Comuni in cui risiede una popolazione pari a 1.324.220 abitanti; 

- il “progetto speciale Isole Minori” che coinvolge i 35 Comuni sui quali insistono le Isole, con una popolazione totale di 213.093 abitanti. 

La popolazione dei comuni polo scende a 22 milioni dagli oltre 24 milioni della precedente classificazione. Aumenta l’estensione dei territori classificati come periferici, con circa 4,6 milioni di abitanti, e ultraperiferici con 720 mila abitanti, quindi quelli che esprimono maggiori difficoltà nei fabbisogni e di conseguenza maggiore complessità di soluzione. 

La SNAI è quindi a ormai una politica nazionale e da quando fu adottata nel 2014 resta fortemente connessa alle politiche di Coesione e oggi nel ciclo 2021-2027 anche l’UE guarda a questa politica per valutarne la replicabilità in altri Stati membri.

A farsene carico sono state prima le due Leggi finanziarie del 2014 e 2015 che hanno stanziato con le risorse del Fondo di rotazione di cui alla legge 183/87, quindi con risorse della Coesione nazionale, due tranche da 90 mln diversamente ripartite nel quinquennio; successivamente, altri finanziamenti specifici hanno portato le risorse nazionali a disposizione delle aree interne nel 2019  a 591 mln € sommandosi ai diversi PON e POR, fra cui  il  PON “Governance e Capacità istituzionale” 2014-2020” che prevede “Interventi per la razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dell’efficienza organizzativa e della gestione del personale” ed ha finanziato il progetto “Strategia Nazionale per le Aree Interne e i nuovi assetti istituzionali”: quest’ultimo ha supportato in particolare il Comitato Tecnico Aree Interne e i Comuni coinvolti nel processo di nascita e consolidamento di forme di governo e gestione integrata dei servizi pubblici locali comunali per le 72 aree che in prima attuazione furono selezionate. 

Nel 2021, il PNRR ha destinato 825 mln € a fondo perduto per sostenere i meccanismi di sviluppo con due linee di intervento:  Potenziamento servizi e infrastrutture sociali di comunità e Servizi sanitari di prossimità. Si è trattato quindi di una scelta che premia alcune intuizioni della Strategia ma non l’intera impalcatura.

Possiamo dire oggi, a nove anni da quando la Strategia è divenuta operativa, che per raggiungere l’obiettivo non basta lo stanziamento di risorse finanziarie: dei  milioni di euro messi a disposizione tra l'avvio della SNAI e il 2021, non solo i 591 Mln € ma anche le risorse dei diversi POR e PON, risultano al sistema nazionale di monitoraggio al 30 aprile 2021 impegni per circa 177 Mln € e pagamenti per 38,8 Mln € pari circa al 4,7% del valore complessivo, a testimonianza di un sistema di governance farraginoso e poco efficace. Affinché i nuovi stanziamenti del PNRR trovino impieghi effettivi ed efficaci occorre quindi ripensare a fondo l’impianto stesso della Strategia.

Qualche proposta per uscire dall’impasse

Del resto, risorse non indifferenti sono state spese nelle stesse aree interne nei trenta anni che hanno preceduto il 2014, senza però che il declino fosse arrestato. Della prima relazione del 2015 presentata al CIPE resta ancora convincente e orientativo il richiamo ad un approccio programmatico che inquadri gli interventi per queste aree tenendone conto nell’ambito delle politiche nazionali per scuola, salute e mobilità. “Le azioni per riequilibrare l’offerta di servizi di base non possono avere natura straordinaria, come è spesso avvenuto in passato. Non servono interventi occasionali se le politiche di settore per i servizi di base non tengono conto della specificità di questi territori”. 

In questo senso va pensato l’intervento di progetti di partnership pubblico-privata che migliorino attrattività e servizi e che valorizzino - senza pretesa di ripopolamento permanente - queste aree, rilanciandone l’economia con progettualità agili che si inquadrino nello sforzo di lungo periodo e di più largo orizzonte delle politiche ordinarie nazionali. A questo scopo  è necessario orientare l’infrastrutturazione delle aree interne puntando su:

- la dotazione di reti energetiche tarate sulle peculiarità dei territori e connesse con la valorizzazione delle loro potenzialità in termini di fonti energetiche rinnovabili, nonché di utilizzo del sistema di invasi idrici dell’Appennino meridionale come meccanismo di accumulo per stabilizzare la fornitura di energia elettrica prodotta da fotovoltaico ed eolico;

- la connessione digitale, quindi investimenti per banda larga e ultralarga e formazione per accrescere le competenze digitali di chi resta, favorendo insediamenti di turismo diffuso che consentano lo sviluppo di quelle attività permanenti di food tradizionale, artigianato e percorsi sportivi ad una popolazione anche di lavoratori non abitanti permanenti. A questi ultimi le aziende potrebbero permettere periodi di smart working rigenerativo o di formazione dedicata tramite Academy. La connessione digitale inoltre consentirebbe di sviluppare la struttura di supporto alla salute degli abitanti attivando in modo significativo l’assistenza medica con servizi di Telemedicina;  

- la mobilità, che è ovviamente strategica: come possibilità di accesso per accogliere ma anche di uscita verso i comuni vicini e i comuni polo, per inaugurare una stagione di integrazione degli abitanti che dovrebbe riversarsi in modo virtuoso sulle singole amministrazioni comunali. Offrire un complesso di opportunità strategiche replicabile in territori molto diversi a partire da HUB che potrebbero non essere individuati esclusivamente nei Comuni polo e che possano offrire, lungo i percorsi di raccordo fra le varie aree interne e i Comuni polo, quelle possibilità di concentrazione di servizi ma anche di occasioni di scambio che permettano di innalzare il godimento dei diritti di cittadinanza. Va in questa direzione, per esempio, il progetto HUB del territorio di RFI, concepito per valorizzare la centralità delle stazioni nell’ambito del tessuto sociale locale in modo particolare nelle aree meno popolate.

 

Allegati

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