08 gennaio 2021   Articoli

Economie a confronto, ma l’importante è osare

Amedeo Lepore - Il Mattino

L’ultimo rapporto dell'EIU, la divisione di ricerca dell'Economist creata dal 1946 per capire come cambi il mondo originando opportunità da cogliere e rischi da gestire, è dedicato alle tendenze nel 2021 di tre economie chiave, come la Germania, l'Italia e la Turchia. Nel Paese guidato dalla Merkel, il fondamentale terreno di verifica è rappresentato dalle elezioni di settembre, che possono avviare una transizione politica verso un assetto più attento alle questioni ambientali, avendo già adottato la scelta di puntare sulla mobilità elettrica, e orientato alla conferma del radicale cambiamento della politica fiscale indotto dalla pandemia. La Germania ha fatto ricorso al debito pubblico al proprio interno, abbandonando l'obiettivo del pareggio del bilancio, e ha contribuito fortemente alla decisione dell'emissione congiunta di titoli comunitari, per alimentare il Recovery and Resilience Facility a livello europeo. Per quest'anno il rapporto pronostica un crescente impegno tedesco nella politica industriale, ribadendo l'attuale condotta per una strategia di sviluppo. Inoltre, pur prevedendo una maggiore concentrazione sulla dimensione interna, l'Economist Intelligence Unit ritiene che la Germania rimarrà comunque influente in Europa e il partenariato franco-tedesco conserverà lo slancio ritrovato sulla scia dell'accordo per la ripresa europea. L'Italia, d'altro canto, nel 2020 ha conosciuto la recessione più profonda dal dopoguerra e ha visto aggravarsi il peso del debito pubblico intorno al 160% del Pil. Nonostante questa acutizzazione, i mercati finanziari dovrebbero continuare a sostenere le obbligazioni italiane. Nel 2021, tuttavia, se vi fosse un abbassamento del rating nazionale, dato che due agenzie mondiali (Fitch e Moody's) lo hanno collocato appena al di sopra del non investment grade, prevarrebbe largamente l'intenzione di disfarsi dei titoli del debito pubblico. Dopo l'iniziale apertura alla nuova via della seta, poi, il rapporto presume un'ulteriore attenuazione dei rapporti con la Cina e un inasprimento delle disposizioni sulle infrastrutture delle tecnologie digitali, riducendo le opportunità per le aziende cinesi. La Turchia, infine, ha evitato una dura recessione nel 2020, facendo leva su una lunga crescita del credito, facilitata dalle banche e guidata da una politica di bassi tassi di interesse. Secondo il documento, tuttavia, le modalità di applicazione di questi obiettivi hanno accentuato gli squilibri esterni e hanno aumentato i rischi per la stabilità finanziaria del Paese. Tanto è vero che si è tornati a un incremento dei tassi di interesse ed Erdogan paventa "medicine amare" per l'economia. La Turchia nel 2021 corre il pericolo di un'interruzione repentina del credito e di una crisi della bilancia dei pagamenti, in assenza di riforme strutturali. Nel corso di quest'anno, si attenueranno i finanziamenti speciali e gli interventi di sostegno governativi, che hanno tenuto in piedi aziende e famiglie in difficoltà, provocando l'incremento drastico delle insolvenze e dei fallimenti. Inoltre, anche dopo il Covid-19, proseguirà l'espansione dei pagamenti digitali, rendendo sempre meno essenziali i vecchi strumenti monetari e creditizi. Malgrado la Brexit, i mercati finanziari europei, pur redistribuendosi in maniera policentrica a Francoforte, Dublino, Parigi e Amsterdam, manterranno una sede principale (tra pari) a Londra. Il rapporto della sezione di ricerca dell'Economist, dunque, è frutto dell'incertezza di questa fase, nella comparazione tra le tre diverse economie. Del resto, anche l'outlook di dicembre dell'Ocse ha mostrato dati problematici, con una ripresa graduale e condizionata dalla diffusione del vaccino. In un mondo che presenta ampi segni di sofferenze e inquietudini insostenibili, di cui il virus è solo l'ultima e più opprimente delle cause, appare sempre più necessario un rinascimento delle idee di progresso, con un'assunzione piena di responsabilità da parte dei governi e un avanzamento dei contenuti concreti delle politiche, piuttosto che di illusorie rendite di posizione.

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