01 giugno 2020   Articoli

Senza fare le riforme i soldi dell'Europa sono buttati

Amedeo Lepore - Il Mattino

Il discorso di Ursula von der Leyen al Parlamento europeo ha rappresentato una svolta per molte ragioni. Non solo per le misure annunciate e la conferma dell’imponente impegno di risorse finanziarie, oltre 3.000 miliardi di euro, che ha costretto le forze antieuropeiste al silenzio o a un’ardua arrampicata sugli specchi, ma per la portata generale del suo intervento, che ha dato spessore a una nuova prospettiva comunitaria. 

Innanzitutto, l’apertura di una discussione nell’istituzione rappresentativa dei cittadini europei, appena un’ora dopo le prime decisioni della Commissione sulla strategia da promuovere per la ripresa, è un importante segnale di valorizzazione del percorso democratico, quando pesa ancora lo stato di emergenza globale e si sta appena provando a uscire dalla fase più aspra del blocco economico e sociale. Il contenuto asciutto e per niente retorico delle parole della Presidente ha collegato a riferimenti saldi e duraturi – “l’Europa come storia di generazioni, in cui ogni generazione ha una storia” – i compiti per la costruzione del futuro dell’Unione, indicando le tappe di un lungo cammino. 

Dai fondatori, che posero le basi per una pace ininterrotta e per condizioni sempre più avanzate di benessere e libertà, ai costruttori di un mercato interno via via più solido e inclusivo, fino ai sostenitori del progetto della moneta unica, ancora da correggere e completare con l’avvio dell’unificazione politica, bancaria e fiscale. 

Di fronte a una crisi senza precedenti, seguita alle debolezze del processo di integrazione europea e agli errori di un’austerity a senso unico, si possono liberare nuove energie e opportunità, in grado di far ripartire l’Europa in una logica opposta a quella della chiusura e dell’isolamento. La scelta odierna, grazie al piano di ripresa, può evitare di lasciare indietro Paesi, territori o persone e aprire un varco di speranza per la prossima generazione. La somma di 750 miliardi da raccogliere sul mercato, in aggiunta ai fondi interni per il periodo 2021-2027, va al di là della proposta franco-tedesca dei giorni scorsi e si dispone come una potente leva di politica economica. 

Il riscorso alle obbligazioni comunitarie, rimborsabili tra il 2028 e il 2058, e la presenza sia di loans (prestiti) che di grants (sovvenzioni), come accadde nel periodo della ricostruzione e di abbrivo della golden age, dimostra che nei momenti difficili può emergere la consapevolezza di un cambio di paradigma. Si tratta di un buon inizio dopo i fendenti del Covid-19, ma lo scenario di un impatto mite sull’economia è da escludere e la strada è ancora impervia. I cosiddetti Paesi “frugali”, cresciuti sul ripiegamento degli interessi europei, non hanno alcuna intenzione di rinunciare a mettere ostacoli e riserve. Anche per questo, le risorse disponibili, che in gran parte si riverseranno in Italia, vanno impiegate bene, per i programmi prioritari dell’innovazione digitale, dell’ambiente e dell’economia circolare. 

Il momento “hamiltoniano” dell’Europa, ossia il ricorso al debito comune, non significa un ritorno a un passato, ma può rappresentare l’impulso per fare finalmente la cosa giusta e fondare un nuovo europeismo dei fatti, oltre che una nuova economia. Secondo l’ultimo rapporto dell’Economist Intelligence Unit, il PIL globale non si riprenderà ai livelli pre-coronavirus fino al 2022 e l’aumento della spesa pubblica, preferibile a un’inesorabile distruzione di capacità produttiva, renderà necessario confrontarsi con livelli di indebitamento aggiornati, soprattutto nei Paesi dell’Europa meridionale già fragili dal punto di vista fiscale. Di fronte ai rischi concreti di un’altra crisi del debito sovrano, se non si vuole rientrare in una spirale viziosa, con inasprimenti delle imposte – fino alla ricorrente ipotesi di una patrimoniale dal carattere recessivo – o tagli indifferenziati della spesa, bisogna puntare su una combinazione di soluzioni equilibrate, come indicato in un’ampia analisi dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, e principalmente sullo stimolo alla crescita potenziale, con azioni di lungo periodo e riforme strutturali. 

Gli investimenti sono l’asse centrale di una strategia di questo tipo. Un numero speciale dell’Investment Policy Monitor della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) esamina come le politiche di investimento stiano rispondendo alla pandemia, evidenziando la loro varietà di applicazione e il loro valore essenziale per una riorganizzazione in chiave di sviluppo, oltre che di contrasto immediato alla crisi. Come ha ricordato Fabio Panetta, membro del board esecutivo della BCE, poiché le economie europee sono fortemente connesse attraverso le catene del valore, è necessaria un’iniziativa fiscale simmetrica per proteggere e potenziare le loro capacità di produrre e di esportare. Da qui può prendere avvio un modello originale, che fa apparire le misure più coraggiose, le più sensate e sicure.

 

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