02 marzo 2022   Articoli

Dalla Casmez al Pnrr: come è cambiato il meridionalismo

Emanuele Imperiali - Corriere del Mezzogiorno

C’è un fil rouge che lega l’esperienza migliore della Cassa del Mezzogiorno al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Come emerge in modo chiaro dalla lettura del volume Next Generation Italia, un nuovo Sud a 70 anni dalla Cassa, a cura di Claudio De Vincenti e Amedeo Lepore, per la collana Finisterrae. 

Il libro racchiude il senso del confronto, al quale hanno partecipato economisti, meridionalisti, osservatori, avviato col convegno organizzato da Merita e dall’Università Vanvitelli a dicembre del 2020. Certo, i contesti in cui nascono e si sviluppano i due momenti sono molto diversi. La Cassa prende le mosse dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dagli accordi monetari di Bretton Woods. La tecnostruttura, troppo facilmente liquidata come un’esperienza clientelare ed assistenziale, mentre fu solo la seconda fase a caratterizzarsi in tal modo, fu la vera leva dello sviluppo meridionale, prima partendo dalla modernizzazione dell’agricoltura e dalla realizzazione di un’armatura infrastrutturale, per poi avviare quell’indispensabile opera di industrializzazione dei territori depressi dal 1957 in poi. 

Aveva ragione il suo ex Presidente Gabriele Pescatore, quando sosteneva che rappresentò “un’esperienza italiana per lo sviluppo e contemporaneamente un modello di riforma dell’amministrazione pubblica e un esperimento di programmazione e coordinamento della crescita attraverso un organismo autonomo”. In fondo la stessa Svimez di Saraceno, Morandi e Menichella nacque nel ‘46 in quel clima. Poi, però, e questa purtroppo è storia, dalla metà degli anni ‘70 ebbe un avvitamento su se stessa, sotto la spinta di pressioni localistiche, senza sottovalutare che in quegli anni nascevano le Regioni. Da quel momento il Sud fu confinato in un ventennio improduttivo, di sprechi e abbandono, uscì dai radar nazionali, per restare confinato in un suo ghetto da cui ancora oggi fa fatica ad uscire. 

La “questione nazionale” del Mezzogiorno, come amava definirla il compianto Giuseppe Galasso anche sulla sua rubrica pubblicata sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno, finì per diventare minoritaria nel dibattito pubblico, mentre si accendeva lo scontro tra i rivendicazionisti di impronta neoborbonica e gli autonomisti delle Regioni del Nord, soprattutto Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che accusavano i primi di sperperare risorse pubbliche. Purtroppo la politica della Nuova Programmazione, della ripartenza dal basso, che per cinque lustri improntò le scelte meridionalistiche dei governi che si sono succeduti, ha portato con sé un’ampia divaricazione di crescita e di sviluppo tra le due macro aree del Paese. Tornare all’esperienza della prima Cassa, allora, non vuol dire per forza di cose ripercorrere le stesse strade. 

Il programma europeo Next Generation lanciato all’indomani della pandemia ha smentito chi già proclamava la fine del sogno dell’integrazione comunitaria, partiti populisti in testa, riprendendo in tal modo la direzione di una forza di equilibrio e di progresso. Un programma che ha molti punti di contatto con l’esperienza del passato ma le premesse da cui partire e gli obiettivi ai quali tendere sono radicalmente diversi. 

La Cassa fallì nell’illusione che lo sviluppo dei territori fosse automatico, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non può e non deve commettere lo stesso errore ma fondare la propria attuazione sulla qualificazione delle risorse umane, sulla crescita del capitale sociale e più in generale dei diritti di cittadinanza, sull’efficienza degli apparati pubblici e sulla tutela della legalità contro ogni rischio di infiltrazione criminale. Per di più il Pnrr non può prescindere dalla velocità nella spesa, immaginando uno Stato rinnovato capace di attrarre contestualmente anche investimenti privati, soprattutto internazionali. 

L’Italia e il Mezzogiorno come crocevia geopolitico di un bacino, quello del Mediterraneo, porta d’ingresso da Sud dell’Europa. Una scommessa ardua, che il Governo Draghi si gioca sul terreno di una sempre più stretta sinergia e integrazione tra politiche nazionali, ordinarie e speciali, e politiche comunitarie. E’ la sola condizione per sanare finalmente dopo quasi un secolo le storiche diseguaglianze del Sistema Italia, quella frattura mai pienamente risolta che ha accompagnato lo sviluppo caotico e disordinato della vita economica, culturale, istituzionale del Paese dopo l’Unità. 

La riflessione tra passato e presente non può ignorare la inderogabilità nella fase attuale di puntare su una doppia convergenza, del Sud verso il Nord e dell’Italia intera verso l’Europa. Solo così si riuscirà finalmente a far uscire il Mezzogiorno dall’attuale condizione di perifericità per ricollocarlo a pieno titolo in contesto Euro Mediterraneo basato su un Mezzogiorno piattaforma logistica, portuale, energetica del Paese tutto. In questa chiave Next Generation Eu si trasforma autenticamente in una nuova opportunità per l’Italia e per il Sud, Ma il successo o il fallimento di questa formula passa attraverso alcune strade obbligate: L’unificazione e il coordinamento degli interventi, da qualunque parte vengano i finanziamenti, per massimizzarne l’impatto positivo sui territori. 

La creazione di una Cabina di Regia Nazionale, sul modello della tecnostruttura Cassa, che possa assicurare un sistema di governance efficace per l’attuazione degli interventi. Qualcosa di simile si sta facendo a Palazzo Chigi, ma affiancandola con governance territoriali, in particolare comunali. E su quest’ostacolo si rischia, in particolare al Sud, di ritardare il processo attuativo, perché gli enti locali meridionali, nella maggior parte dei casi, non hanno le risorse umane adeguate per fare progetti di elevata qualità così come richiesti da Bruxelles. Poi, una politica di investimenti senza percorrere dannose scorciatoie assistenzialistiche, distribuzioni di risorse a pioggia. 

Infine, proprio per come è nato e si sta muovendo il programma Next Generation Eu che destina mediamente il 40% delle risorse al Sud ma nel quadro di un grande progetto nazionale, bisogna, come peraltro Il Corriere del Mezzogiorno sta facendo da tempo, puntare su una politica nazionale, tutti convinti, come notava acutamente Galasso, che il Nord non ha nulla da guadagnare dalla depressione meridionale ma il Sud avrebbe ancor meno da guadagnare da una recessione dell’economia settentrionale. 

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