03 luglio 2020   Articoli

Quei silenzi sulla banca

Giuseppe Coco - Corriere del Mezzogiorno

Con l’assemblea degli azionisti della Popolare di Bari che ha approvato a larghissima maggioranza la trasformazione in SPA e la compensazione dei vecchi azionisti della vecchia popolare a un prezzo di 2,38 euro, si conclude una fase importante del salvataggio della Banca più importante del Mezzogiorno. La Popolare di Bari era in effetti una istituzione importante per la tenuta della nostra regione. Si tratta dell’unica banca media con sede nel mezzogiorno, sopravvissuta alle crisi degli anni 90 e dei primi decenni di questo secolo: proprio per questo si tratta di un patrimonio importante e bisognava averne maggiore cura.

E’ quindi il momento di capire come sia stato possibile arrivare al punto di azzerare tutto il capitale. La storia della progressiva decadenza della Banca chiama senz’altro in causa la debolezza delle istituzioni politiche e sociali della nostra terra, le classi dirigenti estrattive che una volta tanto hanno nome e cognome, e anche la vigilanza bancaria. Partiamo da quest’ultima.

La Banca d’Italia ha nel mirino BPB dal 2010. Dopo una ispezione parzialmente sfavorevole e una serie di raccomandazioni, una seconda ispezione del 2013 rimuove i vincoli all’operatività in seguito all’assunzione di dirigenti esterni con professionalità adeguata (prontamente emarginati appena gli ispettori sono usciti). Come e perchè la Banca d’Italia abbia autorizzato nel 2014 BPB, una banca con un NPL ratio del 24% (ovvero ¼ dei suoi prestiti già in sofferenza), a rilevare una banca fallita, la TERCAS, è un mistero per chiunque. La Banca d’Italia ha sempre orchestrato salvataggi tra banche ma ne serve una sana a rilevare una malata. Alcuni studiosi stanno applicando schemi interpretativi di tipo comportamentale a questi episodi. Sostanzialmente anche la vigilanza si comporterebbe come gli individui, procrastinerebbe il dolore della perdita, aumentandone però i danni attesi e sperando in una improbabile resurrezione. In questa maniera però ha peggiorato le perdite per gli azionisti e messo a rischio il sistema bancario meridionale, offrendo un prolungamento della rendita alle famose classi estrattive.

La vicenda della BPB peraltro avviene e si dispiega in questi anni nel più assoluto silenzio della autorità politiche locali. Eppure BPB ha il 10% della raccolta bancaria e degli impieghi (prestiti) di tutta la Puglia, 70mila soci e 2700 dipendenti. Nessuna voce si è levata negli anni sullo scandalo di della governance della banca. Non è la prima volta nella nostra regione che istituzioni pubbliche o comunque di diretto interesse pubblico (non di proprietà di privati intendo) vengono letteralmente sequestrate da intere famiglie. La politica si fa viva quando diventa necessario il salvataggio pubblico.

Infine una responsabilità più diretta ricade in capo a parte della classe dirigente locale che è stata collaterale e mai critica nei confronti della conduzione della banca. Una parte di questa classe dirigente pare aver partecipato direttamente. La CONSOB ha infatti multato nel 2018 manager, collegio sindacale e l’intero Consiglio di Amministrazione della Popolare di Bari, che nel 2019 costava più di quello di UNICREDIT, per complessivi 2,6 milioni di euro per l’emissione ed il collocamento improprio di azioni del 2015. Le azioni sono state vendute sia a risparmiatori inconsapevoli e non informati (in larga parte correntisti), sia a clienti debitori cui si prospettavano prestiti doppi in caso di sottoscrizione di azioni. E c’è da chiedersi quale tipo di creditore accetta uno scambio simile. La banca finanziava il suo capitale coi suoi depositi, un classico.

 Il fallimento della Popolare non è quindi un mistero. Il salvataggio è una opportunità notevole. Si tratta di 1,6 miliardi di euro dal Fondo interbancario e dal MCC, in parte soldi pubblici, anche nostri, per i quali serve rispetto. Oltre alla territorialità, come pugliesi una volta tanto chiediamo anche competenza e una chiara rottura col passato.

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