Per ripartire bisogna soprattutto semplificare
Marco Zigon - Il Mattino
La lettera carica di preoccupazioni inviata di recente dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi al sistema associativo, e ripresa dai principali organi di stampa, induce a formulare alcune riflessioni circa le priorità da affrontare per uscire dalla crisi causata dalla pandemia da Covid 19, il cui effetto sulle economie d’Europa e del mondo è stato simile, secondo numerosi osservatori, a quello di un conflitto globale.
Se questo è vero, allora il nostro Paese è chiamato ad attivare uno sforzo straordinario di rinnovamento quale quello che ci impegnò nella Ricostruzione post bellica, questa volta in un contesto continentale, anziché solo nazionale. Si è detto più volte che i fondi che l’Unione europea per il Next Generation Plan rappresentano un’occasione irripetibile e che l’Italia è chiamata a dimostrare che è in grado di spenderli e di spenderli bene. Il che vuol dire evitare che il maggior debito, a cui andremo inevitabilmente incontro, si risolva in sussidi e sovvenzioni di corto respiro, senza effetti positivi e duraturi sull’economia.
Innestare rapidamente processi di crescita nel nostro sistema economico e rendere la struttura del Paese durevolmente competitiva, vuol dire agire decisamente sui freni che da tempo ne rallentano la crescita: a cominciare dalla grave inerzia dovuta in primis a burocrazia asfissiante, lentezza della pubblica amministrazione, lungaggini del contenzioso giudiziario.
E’ quindi necessario porre mano, prima d’ogni altra cosa, a una vasta e profonda opera di semplificazione. Ma di semplificazione, sburocratizzazione e sveltimento delle regole, in Italia si parla da decenni. Affrontare questi nodi è oggi indifferibile e stavolta bisogna fare sul serio. Essi si sciolgono solo con programmi concreti di intervento su ciascuna criticità, nessuna esclusa, capitolo per capitolo: semplificare e sveltire si può, ma con obiettivi chiari da perseguire, tempi certi di realizzazione, misurazione obiettiva dei risultati. Ripeto: questa precondizione è imprescindibile affinché il pacchetto dei “progetti buoni” per la ripresa, per dirla con Mario Draghi, possano essere concretamente cantierabili e dispiegare il loro effetto sull’economia del Paese.
Quanto al Mezzogiorno, è noto che qui persistono ulteriori e specifiche criticità del contesto territoriale: ai vincoli precedentemente accennati, si aggiungono significative criticità legate ai temi di legalità e sicurezza che condizionano lo sviluppo economico e la qualità della vita, fattori disincentivanti al pari del perdurante gap di dotazione delle infrastrutture materiali e immateriali.
In Italia, e tanto più nel Mezzogiorno, occorre interviene prima di tutto sulle condizioni di contesto che frenano o compromettono l’attività d’impresa, scoraggiando gli investitori italiani ed esteri. Rimanendo in tema Mezzogiorno, va rimarcato che il recente provvedimento approvato dal Governo, che prevede sgravi contributivi sul costo del lavoro per le aziende insediate al Sud, è un’ottima spinta al sistema imprenditoriale del territorio, ma può determinare una concreta e stabile crescita solo a condizione che si modifichino finalmente in contemporanea le condizioni di contesto. Ritorno a sottolineare che in Italia i primi e principali progetti – certi, chiari ed eseguibili – devono essere quelli di sistema e di contesto che modifichino una volta per tutte le anomalie e le zavorre di questo Paese. Tra l’altro è quello che ci chiede l’Europa affinché i fondi a cui andremo ad attingere non siano spesi in progetti che rimangono incompiuti o, peggio ancora, si disperdono in contesti illegali.
Sono queste le premesse che rendono possibile cogliere per intero i benefici della transizione energetica, a cui ci chiama l’Europa del Green Deal: la diffusione delle tecnologie abilitanti dell’economia digitale, sostenibile, circolare, basata sullo sviluppo del nostro forte sistema manifatturiero, grazie alla spinta dal modello “Industria 4.0”, che occorre al più presto rilanciare.
Reso competitivo il contesto ambientale, e mettendo in campo un potente piano di formazione e investimenti sul capitale umano come mai fatto prima d’ora, la digitalizzazione e la transizione green potranno dispiegare il loro potenziale di driver dell’economia e della società italiana contribuendo alla crescita competitiva del Paese e al suo recupero di un ruolo strategico nello scenario energetico (e geopolitico) in ambito euro mediterraneo.
E’ necessario infine che istituzioni e sistema delle imprese, ossia la fibra della classe dirigente italiana, abbiano chiara questa missione, assieme al modello di Paese a cui tendere di qui ai prossimi dieci o venti anni. E a quale posizionamento ambire come potenza industriale nel mutante scenario della globalizzazione post Covid.
E’ questa una sfida alla quale chiamare anzitutto la categoria degli imprenditori, il cui ruolo è creare valore per i territori in cui operano, prima ancora che per le loro stesse imprese. Come classe dirigente siamo chiamati a condividere il convincimento che investire, in Italia e nel Sud, sarà veramente attrattivo solo allorquando il Paese diverrà più credibile e più affidabile, grazie al coraggio che avrà mostrato nell’intraprendere con decisione e concretezza la strada delle riforme.
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