05 maggio 2020   Articoli

Se il Sud virtuoso dà fastidio

Isaia Sales - Il Mattino

Isaia Sales - Professore di Storia delle Mafie - Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli

Questa che stiamo vivendo è la prima grande tragedia collettiva della nostra nazione, una tragedia che coinvolge contemporaneamente tutti i territori e che ha imposto disposizioni eccezionali valide per tutti, al di là del livello di intensità territoriale del morbo. 

Le guerre risorgimentali non interessarono contemporaneamente tutte le zone della futura Italia, ma solo alcune e in momenti diversi. Così la prima guerra mondiale che coinvolse i soldati di ogni parte d’Italia ma fu combattuta solo ai suoi confini. L’avvento del fascismo, con la sua scia di delitti e intimidazioni, vide interessate solo alcune regioni del Nord. La seconda guerra mondiale spaccò in due il Paese dopo l’8 settembre, ma non tutti i territori furono interessati allo stesso modo dagli scontri armati o dai bombardamenti, e in ogni caso non nello stesso arco di tempo. La Sicilia fu liberata per prima. Napoli si liberò un anno e mezzo prima del Nord, ma la guerra nel meridione finì in anticipo, se si escludono le stragi dell’esercito tedesco in ritirata in provincia di Caserta.

Furono, certo, “guerre totali”, ma con tempi diversi di coinvolgimento e con ripercussioni differenti tra città e campagna e tra Nord e Sud. Anche le altre tragedie che abbiamo conosciuto nel tempo (terremoti, alluvioni, inondazioni, colera etc.) non hanno avuto un impatto nazionale ma tutt’al più interregionale. E la stessa cosa è avvenuta con il terrorismo territoriale (Alto Adige), con quello politico o con gli attentati mafiosi, con una differenziazione tra maggiore incidenza del terrorismo nel Centro-Nord e delle mafie nel Sud, anche se il fenomeno mafioso ha conosciuto un’impressionante “settentrionalizzazione” negli ultimi anni.

È la prima volta, dunque, che la nazione tutt’intera (nessuna parte esclusa) e contemporaneamente (con uno scarto di pochissimi giorni) ha dovuto affrontare la stessa tragedia con provvedimenti unici, dalle Alpi alla Sicilia. Il coronavirus ci ha “nazionalizzati” più di qualsiasi tragedia precedente e ci ha fornito la prima fotografia di una comunità compatta alle prese con un’unica e generale emergenza.

Sicuramente c’è da restare stupiti per la compostezza, l’autodisciplina degli italiani senza nessuna sostanziale differenza tra le sue varie parti. Sono state messe in discussione alcune certezze (gli ospedali del Nord come esclusivo luogo dell’eccellenza sanitaria) e sono stati scalfiti antichi pregiudizi (i meridionali indisciplinati e restii a qualsiasi regola) ma sono state riaccese posizioni di insopportabile razzismo, il cui campione non è stato Salvini questa volta ma il giornalista Vittorio Feltri, che ha scavalcato in rozzezza chiunque altro ha attizzato nel tempo le contrapposizioni “genetiche” tra Nord e Sud.

Insomma l’Italia proprio mentre si è riconosciuta più simile nelle sue varie parti, al tempo stesso si è scoperta più rancorosa, più frammentata, più incerta sul suo futuro, con le spaccature Nord-Sud che hanno conosciuto al tempo stesso una smentita (nei costumi e nei comportamenti) ma nuove ragioni di scontro. E con nuove divisioni tra centro e periferie, con un protagonismo dei presidenti delle regioni a cui non ha corrisposto una maggiore capacità locale (rispetto a quella centrale) di affrontare la crisi. Insomma abbiamo scoperto ragioni solide per percepirci più italiani rispetto agli anni passati e al tempo stesso nuovi motivi di divisione. È questa la contraddizione che ci fornisce la fotografia che il coronavirus ha scattato all’Italia. Una nazione forte e fragile, unita e divisa allo stesso tempo.

Indubbiamente se nel Sud la popolazione si fosse comportata secondo gli abusati luoghi comuni, oggi la situazione sarebbe disastrosa. Sta di fatto che il morbo non si è diffuso al Sud nelle stesse proporzioni che nel Nord. E si può dire tranquillamente che questo è l’elemento strategico che ha permesso il contenimento della tragedia entro limiti sopportabili dal nostro sistema sanitario. Immaginiamo l’Italia cosa sarebbe oggi con un livello di espansione del coronavirus nel meridione uguale a quello dei territori settentrionali! Per stare al linguaggio militare, si è riusciti a bloccare l’apertura di un secondo fronte e ad evitare una penetrazione del virus “panzer” al di sotto del Garigliano. E tutto ciò lo si deve al fatto che la popolazione meridionale se ne è stata a casa, ha seguito gli obblighi dettati dalle autorità, almeno finora.

Insomma, se si vuole essere seri nelle analisi di quanto è successo ad oggi, l’Italia ha retto perché la popolazione meridionale è stato di una compostezza e di autodisciplina esemplari. E tutto ciò è avvenuto non perché è stato promesso fuoco e fiamme agli indisciplinati. Lo dimostra il fatto che si è trattato di un comportamento uniforme, dal Molise alla Sicilia, dall’Abruzzo alla Calabria, dalla Puglia alla Basilicata, dalla Sardegna alla Campania, cioè anche in luoghi dove si ci sono stati pochissimi casi la gente è rimasta disciplinatamente a casa. Si può parlare, dunque, di un particolare contributo meridionale alla tenuta sanitaria della nazione. Per chi vorrà leggere bene i dati, questo è un potenziale civile e comportamentale importantissimo. Una riserva per la nazione.

Il Sud conosce il Nord (a causa della emigrazione) ma il Nord non conosce il Sud a causa di una narrazione che si perpetua nonostante le smentite puntuali, compresa questa clamorosa sul modo di reagire al virus. Ci siamo abituati da troppo tempo a vivere in una nazione spaccata a metà, come se avessimo introiettato il carattere irreversibile della divisione. È la rassegnazione a vivere in una nazione dualistica il nostro permanente dramma collettivo.

Il virus ha seguito per la sua espansione la mappa e i luoghi dell’economia italiana più sviluppata. Cioè ha colpito nel cuore del sistema produttivo, quella macroarea che si estende tra Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto, densa di popolazione, industrie, contatti internazionali, imprenditorialità, smog e religione del lavoro. Questa semplice e banale osservazione è stata scambiata non per una oggettiva constatazione geo-produttiva ma come una specie di giudizio morale verso i benestanti venduti al dio denaro al di sopra degli interessi di vita dei lavoratori e dei propri concittadini. Sciocchezze.

Queste errate valutazioni hanno dato vita a un “vittimismo settentrionale” inedito nella storia italiana. Vittimismo sfociato in polemiche artificiose verso chiunque abbia chiesto di riflettere sui limiti di un sistema sanitario sempre ritenuto perfetto e sul primato dell’economia nella regolazione della vita collettiva. Con una ripresa di forme volgari di razzismo antimeridionale che, però, per la prima volta nella storia della contrapposizione Nord-Sud ha assunto un carattere difensivo e non di attacco. Un antimeridionalismo di chi è in difficoltà a giustificare quello che non va in alcune grandi regioni settentrionali. Una novità davvero singolare nella storia italiana.

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