La ricostruzione nazionale sul modello del Dopoguerra
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
Nel corso delle consultazioni del Premier incaricato sembra prendere corpo l’adesione di un ampio arco di forze politiche all’appello rivolto loro martedì scorso dal Presidente della Repubblica affinché “conferiscano la fiducia a un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Un appello che ha dato voce alle preoccupazioni di tanti italiani di fronte alla gravità del momento che il Paese sta attraversando, stretto – come il Presidente ha sottolineato - tra emergenza sanitaria, emergenza sociale ed economica, emergenza finanziaria.
Potrebbe così prefigurarsi un’ampia maggioranza parlamentare nella quale vengano a convergere partiti di orientamento molto diverso e in certi casi contrapposto. All’interno di ognuno di essi si è aperta una difficile fase di decantazione, rispetto a posizionamenti aprioristici lontani dai problemi che gravano sul presente e sul futuro dell’Italia e degli italiani e che, proprio per questo, hanno fino ad oggi reso sterile il confronto politico.
Il punto di riferimento per questa maturazione interna alle forze politiche sta nelle priorità indicate dal Presidente Mattarella e che corrispondono a un interesse vitale della collettività nazionale, che in quanto tale sta al di sopra delle pur legittime priorità di singole parti sociali o politiche.
Fronteggiare la diffusione del Covid-19 e assicurare la campagna di vaccinazione di massa più rapida e generalizzata possibile è condizione indispensabile per limitare i costi terribili della pandemia in termini di vite umane perdute e consentire al Paese di ripartire da una situazione in cui la coesione sociale non risulti spezzata e la base produttiva falcidiata.
Ed è a sua volta interesse vitale del Paese la definizione di un Recovery Plan che sia efficace nel sostenere la ripresa dell’economia e sia perciò credibile agli occhi della Commissione Europea: è necessario sciogliere i nodi che bloccano lo sviluppo per ricostruirne le condizioni strutturali, a partire dal rafforzamento della base produttiva e del capitale sociale del Mezzogiorno. L’occasione fornita dal sostegno europeo non può andare quindi perduta. Si tratta di riprendere l’elaborazione del Piano depurandolo dai particolarismi e concentrando le risorse sugli investimenti pubblici e privati che abbiano il massimo impatto positivo sulla capacità prospettica di crescita: infrastrutture, digitalizzazione e innovazione, qualità ambientale, scuola e formazione. Priorità queste che riguardano tutto il Paese ma in modo particolare il Meridione, e richiedono una visione unitaria e nazionale del Recovery Plan, senza frammentazioni che lo svuoterebbero. Per questo è essenziale che del Piano facciano parte la definizione di una forte struttura operativa di governance e la definizione di quelle riforme di regole e procedure che ne assicurino la realizzazione effettiva.
Infine, recuperare un pieno controllo sull’evoluzione della finanza pubblica è essenziale per mettere in sicurezza il nostro debito. Non si tratta di fare austerità ma di garantire una gestione rigorosa del bilancio, ricordandosi che esso è alimentato dalle risorse che vengono dai cittadini italiani di oggi e di domani. Per riprendere l’espressione usata qualche mese fa proprio dal Presidente Draghi, il debito che ha senso fare è quello “buono”, che finanzia spese che predispongono le condizioni dello sviluppo, mentre bisogna guardarsi dal debito “cattivo”, quello cioè che sperpera risorse in particolarismi. Di fronte all’emergenza che stiamo vivendo, è chiaro che servono interventi mirati ed efficaci per scongiurare il collasso di attività produttive e limitare le sofferenze sociali, ma bisogna evitare di accompagnarli con misure estranee sia all’urgenza del momento che al rilancio degli investimenti.
Il compito del Governo, che mi auguro il Presidente incaricato riesca a costituire, è quindi quello di una vera e propria ricostruzione nazionale, un compito che richiede di per sé stesso massima condivisione tra le forze politiche e nel Paese. Ci sono precedenti importanti nella storia d’Italia, primo fra tutti la fase costituente del Secondo Dopoguerra che gettò le basi per il “miracolo economico” e, come sua componente essenziale, per lo sviluppo del Mezzogiorno.
La differenza principale rispetto ad allora – oltre al non avere per fortuna oggi a che fare con le macerie di una guerra – sta nel fatto che le forze politiche dell’epoca erano portatrici di culture che consentivano loro di svolgere la funzione generale di indirizzo e di impulso, valorizzando al tempo stesso l’apporto delle competenze tecniche a disposizione del Paese. Oggi la situazione appare rovesciata.
La mia speranza è che la fase che si sta aprendo sia l’occasione affinché, grazie all’interazione con una personalità come quella di Mario Draghi, le forze politiche trovino la strada per ricostruire una cultura del bene comune.
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