Ma alla Svimez si sono accorti del Sud che sa investire e crescere?
Federico Pirro - La Gazzetta del Mezzogiorno
Nei giorni scorsi sono state presentate le risultanze dell’ultimo Rapporto della Svimez sul Mezzogiorno. Ora, a parte una considerazione ormai largamente diffusa fra i tanti osservatori dell’economia meridionale circa la stanca ritualità di un evento che vede l’Associazione da molti anni a questa parte riproporre sempre e soltanto l’andamento del divario Nord-Sud - senza poi riuscire a cogliere nelle regioni meridionali i tanti punti di forza produttivi esistenti, come documentano invece le rigorose analisi della Banca d’Italia, dell’Istat, della SRM del Gruppo Intesa Sanpaolo, e del CESDIM-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, promosso dallo scrivente - credo che al vertice della Svimez avrebbero dovuto essere molto cauti nel formulare determinate stime.
Solo stime quelle della Svimez
Cominciamo da quelle del Pil in Italia che secondo l’Associazione dovrebbe attestarsi alla fine dell’anno ad un +0,7% - lo stesso dato dell’Istat - quando in realtà quest’ultimo lo ha già rivisto, segnalando per il 3° trimestre dell’anno una crescita dello 0,1%, quando invece solo un mese prima aveva parlato di una crescita zero nello stesso periodo. Ma sono solo stime - come ha opportunamente sottolineato il Ministro Fitto - spegnendo così ogni apodittica assertività a quanto previsto dalla Svimez.
Si afferma poi che tale crescita dovrebbe essere dello +0,8% nel Nord e solo del +0,4% nel Sud. Ma al riguardo si segnala, a puro titolo esemplificativo, che la Banca d’Italia anche se solo per la Puglia ha segnalato per il primo semestre dell’anno una crescita dell’1,2% che, in realtà, sarebbe stata ben superiore a quella nazionale. Certo, il dato ha riguardato solo la nostra regione, ma esso dovrebbe indurre cautela esaminando anche quelli delle altre regioni stimati dalla Banca d’Italia.
Come è misurata l’incidenza dell’edilizia ?
In proposito si invita a valutare con grande attenzione quanto sta accadendo in edilizia: è vero che si sta indebolendo, come dicono alla Svimez, l’effetto del superbonus, ma nel Sud sono in corso grandi lavori pubblici: basti pensare alla costruzione del nuovo tracciato ferroviario della Bari-Napoli, e ai lavori sulla statale 106 che unisce Taranto a Reggio Calabria. Inoltre a Bari da anni sono in corso grandi interventi di edilizia abitativa privata di pregio e di opere pubbliche, come il completamento nel porto dell’ansa di Marisabella e i lavori ferroviari a sud del capoluogo. Anche l’edilizia ospedaliera in Puglia sta registrando forti interventi come i nuovi nosocomi di Taranto e quello fra Fasano e Monopoli nel Sud Est barese: per cui nelle stime sul trend del comparto sarebbe prudente non misurare il suo andamento solo sul rallentamento del superbonus.
Si conosce a fondo l’industria manifatturiera ?
Per quel che concerne l’industria manifatturiera si segnala da parte della Svimez una dinamica positiva degli investimenti – il che è un dato fortemente positivo - ma si aggiunge che essi sarebbero in forte decelerazione sull’anno precedente, più accentuata nel Nord e meno nel Sud. Bisognerebbe tuttavia, a nostro avviso, comprenderne meglio il perché: solo a causa di un rallentamento della congiuntura interna e internazionale - rallentamento, si badi bene, non ancora recessione – o dell’aumento del costo del danaro, o può aver inciso anche il completamento di un ciclo di investimenti in diversi settori industriali nei quali non si può pensare che gli investimenti debbano essere continui e non avere mai pause ? Ma l’analisi macro della Svimez non ci aiuta a comprendere quello che è effettivamente accaduto o sta accadendo.
Peraltro è anche vero che molte aziende – lo scrivente ne può dare testimonianza diretta per le attività di ricerca sul campo svolte dal CESDIM – hanno atteso le modifiche al PNRR e al REpowerEU da parte della Commissione per partecipare (com’è fortemente auspicabile) ai loro bandi: pertanto il rallentamento degli investimenti potrebbe (il condizionale è d’obbligo) anche essere interpretato come una pausa in vista di un loro nuovo ciclo espansivo.
Si conoscono i contratti di sviluppo di Invitalia e i contratti di programma della Regione Puglia?
Peraltro l’amministratore delegato di Invitalia Bernardo Mattarella ha ricordato gli investimenti attivati dalla sua società anche con i contratti di sviluppo sinora approvati, molti dei quali hanno riguardato il Mezzogiorno. Ed inoltre non si possono dimenticare i contratti di programma con cui la Regione Puglia al 31 maggio di quest’anno aveva finanziato sul ciclo 2014-2020 - di cui proprio in queste settimane si sta ultimando la rendicontazione di spesa - 121 contratti di programma per 2,1 miliardi di investimenti, con 860 milioni di agevolazioni richieste: di questi 121 contratti, 45 sono hanno interessato aziende estere. Dati che nel Rapporto sono del tutto assenti, quando invece il dettaglio analitico per singolo investimento lo si sarebbe potuto richiedere a Puglia Sviluppo che è la società della Regione che riceve e istruisce le domande di accesso agli incentivi.
Necessaria un’analisi molecolare dell’industria nel Sud
Ma al di là di questi aspetti specifici, quello che manca da anni nei Rapporti della Svimez è l’analisi ‘granulare’ - ci si passi l’espressione - dell’industria nelle 8 regioni del Sud. Si citano di tanto in tanto singoli comparti di eccellenza presenti nel Meridione, ma solo un’analisi ‘molecolare’ dell’industria localizzata in tutte le regioni del Mezzogiorno – come quella eseguita da chi scrive e pubblicata in uno degli ultimi volumi della SRM della sua collana Un Sud che innova e produce - vi evidenzia ormai da lungo tempo l’esistenza non solo di tantissimi cluster di PMI, ma anche di siti di tanti big player settentrionali ed esteri, pubblici e privati, cui si affiancano da anni stabilimenti di big player meridionali (Gruppo Adler, Gruppo Casillo, Ital-bi-oil, Laminazione Sottile, De Cecco, Ecofox, La Doria, Giaguaro, Petti, I.C.O., Gensi Group, DR-Automobiles, Natuzzi, Gruppo Turi, Sideralba, Divella, Gruppo Angel, Seda Group, Caffè Borbone, Kimbo, Ferrarelle, Ciro Paone, Rummo, AQP, Siciliani Carni, Barozzi, Manelli, Leo Shoes, Gruppo Ferro-La Molisana, Exprivia, MVLine, Delizia, Capurso, Gruppo Miccolis, Gruppo Albanese, Lasim, Gruppo Caffo, Irritec, Nino Castiglione, Sielte, Irem, Sicilsaldo, Gruppo Cellino, Tiscali), solo per citarne alcuni che nel 2022 hanno superato tutti i 100 milioni di fatturato, o anche in qualche caso 1 o 2 miliardi di ricavi. In un numero crescente di casi poi aziende del Sud stanno acquistando imprese al Nord.
Insomma l’industria nel Sud per le sue dimensioni, le sue articolazioni settoriali e territoriali, e la sua forza competitiva - pur non essendo certamente paragonabile a quella del Nord per numero di società e loro fatturati - sfugge tuttavia ad ogni lettura interpretativa che sia approssimativa, riduttiva e incapace così di focalizzarne la forza reale.
La Svimez poi afferma che l’industria incide ancora poco nel tessuto produttivo meridionale e che sarebbero in corso processi di deindustrializzazione. Vediamo alcuni dati: secondo gli ultimi resi noti dell’Istat, nel 2021 l’incidenza % del valore aggiunto dell’industria nell’insieme delle sue branche (compresa cioè l’edilizia) sul valore aggiunto totale nelle singole regioni, è stata del 27% in Abruzzo, del 19% in Campania, del 21% nel Molise, del 19% in Puglia, del 31% in Basilicata, del 13% in Calabria, del 14% in Sicilia e del 14% in Sardegna. Solo nelle ultime tre regioni quell’incidenza non ha raggiunto il 15%, ma nelle altre lo ha abbondantemente superato.
Circa poi la presunta deindustrializzazione del Sud - di cui l’Associazione parla da anni – sarebbe interessante capire a quali siti manifatturieri la Svimez si riferisca, in quali regioni essi siano ubicati e in quali comparti avvengano: ma sarebbe interessante altresì distinguere impianti fermi, ma in attesa di atti autorizzativi e di decisioni in tema di costi dell’energia - si pensi al riguardo all’imponente polo minerometallurgico del Sulcis in Sardegna con i grandi impianti della Portovesme, dell’Euroallumina e della Alcoa, ancora con produzioni ridotte, o del tutto ferme per varie problematiche ancora legate a valutazione di impatti ambientali e di costi dell’energia - e fabbriche del tutto abbandonate.
Ed inoltre non si dimentichi che alcuni siti dismessi sono stati poi rilanciati da nuovi imprenditori come, solo per fare un esempio, lo stabilimento della Whirpool a Napoli.
Solo industre 3S nel Sud ?
Circa poi il richiamo operato dalla Svimez delle aziende che soddisferebbero i requisiti delle 3S, ovvero della Smart Specialization Strategy, , si afferma citando dati dell’Istat che un terzo di quelle meridionali con più di 10 addetti - pari a 90mila unità su 265mila imprese - apparterebbero a tale universo di imprese 3S, con una produttività media di una singola azienda di 43.834 euro, e con valori più elevati nelle filiere dell’aerospazio, della fabbrica intelligente e di energia e ambiente.
Affermazione questa – che, pur apprezzando una presenza non marginale di imprese di Smart Specialization, peraltro desunta da dati di fonte Istat - finisce poi con l’oscurare agli occhi del lettore del Rapporto tutta l’altra vasta presenza nelle 8 regioni meridionali di aziende piccole, medie e grandi di settori come siderurgia, petrolchimica, chimica di base, vetro, materie plastiche, filiere dell’automotive, navalmeccanica, materiale ferroviario, meccanica strumentale pesante e impiantistica, cementerie e altri materiali da costruzione, agroalimentare, tessile-abbigliamento-calzaturiero, legno-mobilio, nautica da diporto: insomma, citare i dati dell’Istat sulle aziende 3S non dovrebbe esimere in alcun modo i ricercatori della Svimez dal condurre studi e ricerche sui territori, visitando impianti di ogni dimensione in tutte le regioni del Sud, come peraltro suggeriva di fare spesso Pasquale Saraceno quando era l’autorevole Presidente dell’Associazione. Ma oggi i suoi ricercatori sembrano ben lontani dal seguire gli indirizzi del loro maestro.
Stanno già arrivando industrie di tecnologie per le rinnovabili
Ancora: nel Rapporto si evidenziano le potenzialità attrattive dell’Italia meridionale - che com’è noto contribuisce in misura significativa in Italia alla generazione di energia da fonti rinnovabili - per quel che concerne la produzione di tecnologie per il comparto. Osservazione giusta, certo, ma anche ormai scontata, essendosi avviato già da tempo in qualche regione l’insediamento di industrie estere produttrici di pannelli fotovoltaici di nuova tipologia, come ad esempio la Midsummer a Bari. Non si dimentichi peraltro che a Catania l’Enel Greenpower gestisce una grande fabbrica produttrice di pannelli fotovoltaici (la ex 3Sun) che è la più grande d’Europa e sulla quale sta concentrando nuovi investimenti. Ma c’è di più: la Svimez afferma che sta aumentando nel Sud la dipendenza da importazioni asiatiche di tecnologie verdi, come pannelli, turbine e biocarburanti: premettendo (ovviamente) che è il mercato a decidere, non si può però dimenticare che, a parte la già ricordata produzione di pannelli fotovoltaici a Catania, la raffineria di Gela dell’ENI è stata già riconvertita a bioraffineria, quella dell’ENIR&M di Taranto produce già biofuel per aerei e che a Monopoli nel Sud-Est costiero barese, la ITal-Bi-Oil del gruppo Marseglia produce biodiesel di seconda generazione con un fatturato che nel 2020 aveva toccato i 400 milioni, saliti a 844 l’anno successivo, e attestatisi nel 2022 a 1.160 milioni: indubbiamente una crescita spettacolare, ma forse non conosciuta dai ricercatori della Svimez.
Due domande agli autori del Rapporto
Ma ci siano consentite per chiudere questo intervento due domande. La prima: ma l’annuale Rapporto è frutto della elaborazione solo del Direttore Luca Bianchi, del Presidente Giannola e di un gruppo ristrettissimo di loro collaboratori, o invece, prima di essere presentato viene discusso (ed emendato se del caso) in consiglio di amministrazione ove siedono fra gli altri anche i rappresentanti delle Regioni che aderiscono all’Associazione?
La seconda domanda è la seguente: la continua, insistita, irriducibile visione alimentata dalla Svimez dell’economia del Sud segnata sempre e soltanto dal divario con il Nord – che pure esiste e che nessuno vuole negare, ma che tuttavia finisce per oscurare le tante dinamiche positive interne al Mezzogiorno - siamo propri sicuri che non finisca col fare il gioco dei rappresentanti a Bruxelles dei Paesi frugali che non vorrebbero più sentir parlare di aiuti all’Italia e alle sue aree svantaggiate, raffigurate dalla Svimez eternamente in ritardo di sviluppo ? Se dopo 73 anni di intervento dello Stato nel Sud, e dopo 34 anni di quello europeo, il Meridione continua ad essere caratterizzato solo dal divario con il Nord, avrebbe poi senso continuare a pomparvi risorse per tentare di colmarne un divario che sembra insuperabile, almeno nell’interpretazione della Svimez ? Ne sono pienamente consapevoli all’Associazione ? O forse pensano, come tanti meridionali del resto, che i fondi comunitari per la coesione saranno eterni ? Non è giunto allora il momento anche per la Svimez di cambiare (radicalmente) registro e dedicarsi (finalmente) ad uno studio accurato e ravvicinato delle tante realtà moderne dell’Italia meridionale per scoprirne reali dimensioni, dinamiche, impegni di imprenditori, Sindacati, Università, e amministratori locali che ogni giorno lavorano, utilizzando anche i finanziamenti comunitari, per far crescere un Meridione che non è affatto un deserto industriale e che non si accinge a diventarlo ?
Un suggerimento finale
Un suggerimento finale: dopo 50 anni ininterrotti di redazione di Rapporti sul Mezzogiorno, forse sarebbe il caso che alla Svimez si prendessero un anno sabbatico, dedicandosi ad una visita accurata, sistematica, capillare dei territori delle 8 regioni meridionali. Vi scoprirebbero tantissime realtà produttive di diversi comparti la cui analisi dettagliata consentirebbe di smentire così ogni visione di un Sud raffigurato sempre alle soglie del baratro.
P.S. Perché la Svimez che studia e vuole tutelare il Meridione pubblica poi il suo Rapporto annuale e altri materiali di ricerca con il Mulino di Bologna, quando nel Mezzogiorno esistono prestigiose case editrici – Laterza, Cacucci, Rubbettino, Manni, Progedit, Sellerio fra le altre - che potrebbero sostituire in logiche di mercato la casa editrice di Bologna ?
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