Recovery, ultima chiamata per il Mezzogiorno
Federico Pirro - Economy
Saremmo all’ultima chiamata per lo sviluppo del Mezzogiorno e per la drastica riduzione del suo divario col Nord se le risorse del Recovery Fund vi saranno destinate nella percentuale di cui v’è traccia nella bozza del Governo ?
Ma se anche con l’approvazione ad aprile da parte della Commissione Europea del Piano italiano Next Generation Eu - che unisce risorse del Recovery Fund con quelle di altri fondi UE collegati - sarà indirizzato all’Italia meridionale oltre il 40% delle risorse, saranno poi in grado le regioni del Sud di impiegarle al meglio? Nel testo approvato in Consiglio dei Ministri - che ora però andrà in Parlamento e al confronto con le parti sociali potendo pertanto essere anche rimodulato in profondità in alcune sue parti - è probabile che il Meridione possa godere non solo del 34% del volume di tutti gli interventi, in coerenza con quanto già in vigore per le spese in conto capitale delle Pubbliche amministrazioni centrali, ma anche superare quella percentuale perché, come si scrive in una pagina del testo, ”sarà esplicitata la quota delle risorse complessive destinata al Mezzogiorno che può valere come criterio prioritario di allocazione territoriale degli investimenti previsti”.
Prima di rispondere alle domande iniziali, scorriamo alcuni capitoli del Piano approvato dal Governo e riguardanti anche il Meridione. Per sostenere la microelettronica sono previsti a livello nazionale 750 milioni, una cui quota significativa potrebbe essere destinata al grande polo della STMicroelectronics di Catana. Circa la metà del miliardo e 600 milioni per la creazione di sette centri per l’innovazione delle tecnologie di frontiera dovrebbe essere destinata al Mezzogiorno. Quote significative per il Sud si prospettano anche per asili nido e tempo pieno a scuola, ma almeno al momento non sono specificate percentuali.
Per gli investimenti nella rete ferroviaria - 15,5 miliardi dei quali riguardano progetti nuovi, raggiugendosi così un totale di 26,7 miliardi - il 50% riguarda il Meridione, soprattutto grazie alle risorse del Fondo sviluppo e coesione. Sono citati fra gli altri progetti per l’estensione dell’Alta velocità lungo la Napoli-Bari e la velocizzazione della Salerno-Reggio Calabria, mentre dovrebbero essere elettrificate tratte regionali nella Calabria ionica e nel Molise. Inoltre 700 milioni dovrebbero essere destinati alle stazioni meridionali, così come sono previste azioni sulle linee della Circumvesuviana e della Circumetnea. Per i porti invece si stimano 1,6 miliardi di interventi nuovi, per potenziare l’operatività delle Zone economiche speciali e per lo sviluppo della portualità minore in chiave turistica.
Il Mezzogiorno appare prevalente nel potenziamento del ciclo dei rifiuti da finanziare con 1,5 miliardi che dovrebbe interessare le Città metropolitane di Napoli, Bari, Reggio Calabria e Palermo. Prevalentemente destinati al Meridione sono i 4 miliardi di risorse aggiuntive previsti per il miglioramento delle reti idriche, così come una quota superiore al 34% dovrebbe essere destinata per il progetto “energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile” che vale nel complesso 8,2 miliardi, di cui 1,2 per le aree dell’Ilva a Taranto e del Sulcis in Sardegna.
A tali risorse poi si aggiungono le azioni specifiche per quelle di coesione e in particolare 4,2 miliardi, di cui 600 milioni per ‘ecosistemi pubblico-privati per il trasferimento tecnologico’ in contesti urbani marginalizzati del Sud. Nel piano Next generation Eu l’Italia ha inserito poi progetti per 13 miliardi a valere sul programma React-Eu e di questi 8,7 miliardi andranno al Mezzogiorno per interventi che riguardano il lavoro (4,1 miliardi per decontribuzione e bonus assunzioni di giovani e donne), inclusione sociale (1,2 miliardi), transizione ecologica (1,7 miliardi), sanità (580 milioni), istruzione e scuola digitale (560 milioni), innovazione e garanzie sul credito (585 milioni).
Dunque le risorse destinate alle regioni meridionali sono ingenti e per questo dobbiamo tornare alla domanda inziale, ovvero il Sud è pronto a utilizzare nei tempi previsti dalla UE e con progetti qualificati i fondi che saranno posti a sua disposizione? La domanda in realtà riguarda tutto il Paese, ma nell’Italia meridionale negli ultimi mesi si è levata coralmente la voce di coloro i quali - ben sapendo che fondi così ingenti non sarebbero più disponibili per qualche decennio dopo il 2026 - hanno chiesto con forza che ben oltre 1/3 di quei fondi venisse destinato per colmare lo storico divario fra Nord e Sud. Allora, se come sembra tale ambiziosa richiesta ha avuto ascolto nel Governo, è legittimo chiedersi se nel Mezzogiorno si sia consapevoli che questa potrebbe essere l’ultima chiamata, almeno in questa prima metà del secolo, per un Sud che dovrebbe, se non proprio colmare il divario col Nord, almeno tentare di ridurlo drasticamente.
Certo, bisognerà verificare quante delle risorse prima richiamate saranno gestite da centri di spesa dello Stato centrale e quante invece dalle Regioni, così come bisognerà capire come si divideranno quei fondi fra le stesse Regioni del Sud e fra queste e gli altri centri di spesa al loro interno come Comuni, Province, Città metropolitane, Consorzi Asi, Acquedotti, Università, Soprintendenze, etc.
E tuttavia anche per i progetti che verranno gestiti da soggetti centrali le Amministrazioni meridionali dovranno dare le relative autorizzazioni per quanto di loro competenza. Lo faranno nei tempi previsti, o si assisterà a deplorevoli ritardi, o a vere e proprie azioni volutamente dilatorie se certi interventi non saranno condivisi da alcuni Amministratori ? Esempi negativi recenti non mancano, come ad esempio quanto sta accadendo a Brindisi ove ormai da anni gruppi ristretti di ambientalisti, condizionando anche le Amministrazioni elettive, continuano a bloccare interventi di centinaia di milioni nelle infrastrutture portuali e investimenti di eguali dimensioni da parte di multinazionali come British Gas e Edison, non rispondenti a loro dire alle necessità dell’area brindisina.
E che dire poi dell’altro nucleo di irriducibili ambientalisti che a Taranto vorrebbero la dismissione sic et simpliciter dello stabilimento siderurgico, nonostante i massici investimenti in corso e previsti per ammodernarne gli impianti e abbatterne le emissioni nocive? E come dimenticare poi, solo per fare un altro esempio, l’Amministrazione comunale di Campomarino nel Molise che per lunghi anni ha bloccato il progetto di raddoppio della tratta ferroviaria Lesina-Termoli lungo la linea adriatica perché, non volendo più l’attraversamento (esistente peraltro da decenni) dell’area costiera comunale, alla fine ne ha imposto a RFI (arresasi per sfinimento) un tracciato più a nord, con un aggravio di ben 700 milioni di costi di quello che resta l’ultimo tratto a binario unico sulla Bologna-Bari ? E le Università del Mezzogiorno, o almeno una parte di esse, sono pronte a partecipare con qualificati progetti di ricerca applicata all’impiego di risorse ad essa destinate, o piccole baronie locali pensano ancora che potranno continuare a gestire orticelli scientifici senza alcuna utilità sociale, ma funzionali solo alle carriere di aspiranti titolari di cattedra ?
E le imprese, soprattutto le PMi - che pure stanno dimostrando capacità di resistenza nella pandemia - sanno tuttavia che dovranno compiere con business plan molto accurati ulteriori salti di qualità nei processi produttivi, nelle loro produzioni e negli assetti gestionali, puntando con forza sulla digitalizzazione, se vorranno intercettare i finanziamenti ad essa destinati ? Mancare questa volta l’obiettivo di un efficace impiego delle ingenti risorse poste a disposizione dalla UE potrebbe significare abbandonare il Sud al suo declino e ai suoi divari, per responsabilità delle sue classi dirigenti che avrebbero perso un’occasione storica e irripetibile per molti decenni.
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