Lo sforzo da compiere per scuole e ospedali
Vito Peragine - Corriere del Mezzogiorno
L’emergenza pandemica ha spinto l’Unione Europea a riconsiderare le politiche perseguite negli ultimi anni e a mettere finalmente a disposizione ingenti risorse per il rilancio dei Paesi colpiti dall’epidemia. Si tratta di un’occasione eccezionale. Sull’utilizzo di tali fondi è necessario alimentare un dibattito largo e informato per evitare di disperderli inutilmente in rivoli poco produttivi e poco coerenti. Come in tutte le grandi occasioni c’è molto da guadagnare ma anche molto da perdere. In questo intervento mi concentrerò su due aree di investimento il cui rendimento sociale ed economico è elevato e di lungo periodo: il welfare educativo e il welfare socio sanitario.
Nella bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza alla missione “Istruzione e ricerca” e in particolare al potenziamento della didattica e del diritto allo studio sono dedicati 10,1 miliardi. Gli obiettivi dichiarati includono la riduzione della dispersione scolastica e delle diseguaglianze educative, il miglioramento delle competenze dei giovani, l’aumento del numero di laureati, la promozione delle discipline scientifiche. Sono obiettivi importanti e condivisibili. Non meno importanti sono le azioni che si metteranno in campo per realizzarli.
Occorre uno sforzo collettivo, che coinvolga le istituzioni ai diversi livelli ma anche i soggetti sociali, affinchè gli interventi siano coerenti, concentrati e quindi efficaci. E guardino al tema della formazione come ad una filiera che parte dai primissimi anni di vita e comprende l’università e la formazione continua degli adulti, al fine di portare il maggior numero di persone possibili fuori dalla trappola delle basse qualifiche.
Nel Piano vi è una forte certa eterogeneità nei temi trattati. Ad esempio, è riconosciuto il ruolo cruciale svolto dagli insegnanti, dalle loro competenze e dalla loro formazione, nell’accumulazione di capitale umano e si prevede una riforma del sistema di selezione, in modo da introdurre un periodo di formazione e di prova prima dell’assunzione, ed un investimento sulla formazione continua. Su altri terreni, ad esempio quello del contrasto ai divari territoriali nelle competenze degli studenti e alla dispersione scolastica, le modalità concrete di intervento sono ancora tutte da definire.
Occorre su questi temi partire da quanto si è appreso e sperimentato con successo, nei propri o in altri territori, sulla base di valutazioni di impatto, facendo tesoro dell’esperienza passata ed evitando il rischio di frammentazione in mille progetti e sperimentazioni non basate su evidenze solide di efficacia.
Sul welfare socio sanitario, la drammatica lezione della emergenza pandemica ci ha confermato la necessità di rendere più forte il Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale, e di potenziare l’assistenza integrata sociosanitaria territoriale. È necessario puntare ad un modello di “salute di comunità e nella comunità” che garantisca un’assistenza continua e globale, accessibile e flessibile, capace di prendersi cura delle persone nel contesto in cui vivono, assicurando continuità tra territorio e ospedale, favorendo il protagonismo di individui, formazioni sociali, terzo settore.
L’obiettivo del superamento degli storici divari nell’offerta ospedaliera va coniugato con il potenziamento del Distretto. Un simile modello richiede una forte propensione all’innovazione e il superamento di limiti culturali e di interessi specifici: modelli innovativi capaci di coniugare interventi sanitari e interventi sociali, con una grande flessibilità nella organizzazione dell’assistenza.
Occorre investire in una forte infrastrutturazione dei servizi territoriali, ragionevolmente omogenea sul territorio, con una attenzione ai determinanti sociali della salute. Ma non si tratta solo di spese in conto capitale: occorrono anche formazione e ricerca, progetti personalizzati di presa in carico, assistenza domiciliare, coprogettazione intersettoriale e partecipata, senza i quali l’infrastrutturazione resta un’incompiuta. Questo cambio di paradigma richiede un ripensamento della formazione, a tutti i livelli, dei professionisti della salute e del sociale.
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