Il sostegno alle riforme strutturali del paesi Ue arriva anche dalla Fed
Pier Carlo Padoan - Il Foglio
Il discorso del Presidente della Federal Reserve Powell tenuto in occasione del Symposium annuale a Jackson Hole è stato salutato come una “rivoluzione” nella politica monetaria degli USA. Il punto è apparentemente tecnico. La Fed continua a considerare un obiettivo di inflazione al 2 per cento. Ma contrariamente che in passato questo obiettivo verrà ora perseguito “in media”. Ciò implica che se per un periodo di tempo l’inflazione dovesse collocarsi al di sotto del 2 per cento la Banca Centrale dovrebbe perseguire, per un tempo adeguato un obiettivo di inflazione superiore al 2 per cento per compensare l’inflazione troppo bassa del periodo precedente. Nel medio periodo ne risulterà una politica monetaria più espansiva rispetto allo scenario finora vigente. Nel dibattito che ne è seguito la nuova regola di politica monetaria degli USA è stata spesso confrontata con quella tutt’ora vigente presso la Banca Centrale Europea che prevede un obiettivo di inflazione vicino ma inferiore al 2 per cento. A parità di condizioni questo implica che la politica monetaria dell’euro è più restrittiva di quella degli USA. Cosa che potrebbe comportare, anzi già lo sta producendo, un indesiderabile apprezzamento della moneta unica. Questo effetto restrittivo della politica della BCE rispetto a quella della Fed, si aggiunge al fatto che mentre la BCE ha come obiettivo quello della stabilità dei prezzi la Fed ha il duplice mandato di stabilita dei prezzi e di sostegno dell’occupazione. Chi ritiene necessario che l‘Europa abbia una intonazione di politica monetaria più espansiva insiste sulla necessità di cambiare il mandato della BCE, per renderlo più simile a quello della Fed, compresa la ridefinizione della regola di controllo dell’inflazione. Obiettivo questo che troverebbe però un ostacolo nella necessità di cambiare i trattati.
Non si può negare che in questi anni la BCE abbia dato prova di essere disponibile a introdurre politiche piu espansive, soprattutto a seguito della crisi covid. Ma come tutti sanno la politica monetaria si scontra con il limite inferiore ai tassi di interesse. Limite che peraltro mostra gradi di flessibilità. Non bisogna però concludere che la politica monetaria della Bce abbia, a trattati invariati, raggiunto i suoi limiti nel sostegno all’economia. La sua efficacia potrebbe essere ulteriormente migliorata da una azione a livello strutturale. Soprattutto in termini di riforme nei mercati del lavoro, dei prodotti oltre che dei mercati finanziari. Mercati del lavoro più flessibili reagiscono più rapidamente alla variazione della politica monetaria. In fase di ciclo discendente è sufficiente una politica monetaria moderatamente espansiva per rafforzare il livello di attività. In fase di ciclo ascendente e sufficiente una restrizione moderata per tenere l’inflazione sotto controllo. Analogamente, mercati dei prodotti più flessibili, con maggior grado di concorrenza, reagiscono più prontamente in termini di prezzi e quantità a variazioni della politica monetaria. Mercati finanziari efficienti e con solida capitalizzazione trasmettono la politica monetaria nella direzione degli investimenti reali con maggiore efficacia. In una unione monetaria inoltre agli ostacoli strutturali si aggiungono gli ostacoli determinati dal diverso grado di integrazione delle economie dei paesi membri. Una data politica monetaria impatta in modo diverso su economie diverse. La stessa politica può risultare espansiva in un caso e restrittiva in un altro. La politica monetaria unica si trova sempre a dover sbagliare in aggregato. Accrescere la convergenza reale tra diverse economie accresce quindi l’efficacia della politica monetaria.
In sintesi misure strutturali efficaci accrescono la efficacia della politica monetaria senza dover cambiare la politica monetaria stessa. Per dirla in altro modo, quando si sono raggiunti i limiti della modifica delle regole di politica monetaria sono le altre politiche a dover cambiare per accrescere l’efficacia della politica monetaria. Negli anni a venire la zona euro potrà beneficiare dei risultati positivi, in cui tutti speriamo, delle iniziative di Next Generation EU che mettono a disposizione dei governi centinaia di miliardi di euro per finanziare progetti di riforma che dovrebbero avviare un nuovo modello di crescita più verde, più digitale, più sostenibile, ma anche più flessibile e con minori divergenze. Per questo solo fatto un programma NGEU di successo porterebbe con sé, come effetto indiretto, un miglioramento della capacità della politica monetaria unica, di produrre più stabilita e più crescita.
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