La retorica degli "occorre" ha indebolito l'Italia. La svolta imposta dall'Europa
Pier Carlo Padoan - Il Foglio
Una volta si diceva che l’Italia è il Paese dei 60 milioni di commissari tecnici della Nazionale di calcio. Oggi sembra esserci un passatempo analogo: la identificazione delle priorità da finanziare con il Recovery Fund. Sono probabilmente meno di 60 milioni gli italiani che hanno una opinione su questo tema ma sono sempre molto numerosi. Con i commissari tecnici la domanda era “quale sarebbe la formazione giusta?” A cui seguivano risposte dettagliate e spesso ben informate. Ma molto spesso alla (equivalente) domanda, ”quali sono le priorità”, la risposta è una lunga serie di “occorre”. Si badi bene, di norma gli “occorre” sono tutti più o meno validi, sono riforme che servono al paese. Ma sono anche una pioggia. D’altra parte la pioggia di priorità è il combinato disposto della cronica necessità di riforme e della (apparente) assenza di vincoli di bilancio. Come tale è infatti percepita, dai cittadini ma anche da molti politici, la condizione determinata dalla temporanea sospensione del Patto di Stabilità e Crescita e la dimensione, fino a pochi mesi fa impensabile di deficit e debito pubblico che ci attende nei prossimi mesi. Ovviamente il vincolo di bilancio non è scomparso, ma è ridefinito in un contesto intertemporale e di mercato. E richiede che, a partire dal prossimo anno, il deficit si restringa e che il rapporto debito/pil sia collocato su un sentiero discendente. Ma se il vincolo di bilancio non viene percepito come tale non ci sono problemi ad allungare la lista degli “occorre”.
In questo stato di cose definire le priorità è impossibile, ma rimane necessario. Senza priorità si cade nell’immobilismo, nei veti incrociati. E’ compito della politica definire un lista di “occorre” che sia compatibile con il vincolo di bilancio. E che quindi ne faccia scaturire una serie limitata di progetti da finanziare.
Naturalmente una opzione per definire una lista di priorità e quella di farla definire da altri. Nel caso del Recovery Fund la Commissione Europea ha definito prerequisiti (le proposte devono essere compatibili con la doppia transizione, digitale e verde) e criteri (le misure devono essere incluse nelle raccomandazioni per paese). Il problema è che anche queste ultime sono spesso una versione più o meno estesa della lista degli occorre. Va ricordato infatti che non è sufficiente definire settori di intervento (sanità, scuola, ecc). Per utilizzare le risorse del RF è necessario definire dei progett , il più possibile dettagliati nella finalità, funzionamento, oneri finanziari. E i progetti possibili sono molto più numerosi delle aree di intervento.
È quindi necessario identificare altri criteri che, al di là delle aree di appartenenza, riducano ulteriormente il numero di progetti. Di criteri se ne possono immaginare diversi. Qui ne proponiamo due: la produttività e la celerità di implementazione.
La produttività è l’indicatore sintetico più significativo dello stato di salute di un paese. Ci dice se un paese è in grado di tradurre in valore le risorse di cui dispone. Ci dice se le politiche messe in atto da un paese sono efficaci o meno. In Italia negli ultimi due decenni il tasso di crescita della produttività è andato inesorabilmente calando, riflettendo in ciò rigidità strutturali, ostacoli agli investimenti pubblici e privati, scelte inefficaci di politica economica. Una inversione di tendenza è necessaria. Progetti che fossero in grado di invertire questa tendenza dovrebbero essere presi in considerazione in via prioritaria. Qui sorge un aspetto che si presenta come un apparente problema di misurazione. La produttività è una grandezza aggregata e riflette il contributo di più fattori, (lavoro, capitale tangibile e intangibile, innovazione, ….) Una produttività che cresce riflette di conseguenza un pacchetto efficace di misure e quindi si basa su un progetto di investimento che comprende vari strumenti, ben disegnato e implementato. In altri termini tassi di crescita della produttività diversi permettono di stabilire un ordine di priorità tra progetti.
Un secondo criterio riguarda i tempi necessari per la implementazione dei progetti medesimi. È noto che i tempi delle riforme possono essere assai lunghi: dal momento della prima legislazione al momento del completamento del processo di implementazione, fino alla percezione dei benefici nella valutazione dei cittadini/elettori. Un problema per la politica è che la lunghezza del ciclo delle riforme è di solito maggiore dell’orizzonte temporale dei politici e questo spiega perché gli incentivi alle riforme sono così deboli. La velocità di implementazione produce benefici all’economia (la crescita della produttività si materializza prima) e migliora le aspettative perché migliora la fiducia nella efficacia delle misure adottate. Ma inoltre rafforza gli incentivi alla attuazione. E spiega perché in cima a ogni lista di riforme troviamo quella della pubblica amministrazione. La riforma che dovrebbe rendere le altre riforme fatti concreti.
In definitiva, i progetti prioritari dovrebbero essere quelli che producono un impatto maggiore sulla crescita della produttività nel più breve tempo possibile. “Squadra vincente…”
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