16 giugno 2020   Articoli

La bulimia di fare tutto per non fare nulla

Amedeo Lepore - Il Mattino

Amedeo Lepore - Professore ordinario di Storia Economica - Università della Campania Luigi Vanvitelli

L’apertura di un confronto di idee sul futuro economico dell’Italia è da accogliere favorevolmente, purché non si trasformi in una bulimia programmatica priva di scelte concrete. Le cifre del dopo coronavirus, mostrando un calo sempre più pronunciato del prodotto nel 2020 e un rimbalzo sempre più incerto nel 2021, cominciano a pesare fortemente sulle aspettative di recupero e fanno comprendere l’enorme sforzo di rinascita che bisogna suscitare nel Paese. La situazione di incertezza attuale, anziché indurre al rinvio di soluzioni organiche, deve richiamare le istituzioni pubbliche al loro ruolo preminente di scelta, ossia di definizione delle priorità, e di governo, ossia di attuazione delle decisioni assunte. 

L’elaborazione dei programmi non deve mai essere disgiunta da questi due elementi essenziali, a meno di non voler indicare solo principi di carattere generale, smarrendo, tra l’altro, il nesso necessario tra l’emergenza ancora incombente e l’orizzonte temporale più ampio della ripresa. Il rapporto predisposto dal comitato di esperti guidato da Vittorio Colao è una panoplia ricca di proposte di intervento, che rischiano, tuttavia, di disperdersi in mancanza di idee trainanti, selezione di priorità, visione dei divari e del ruolo unitario del Mezzogiorno in una strategia di crescita. Sarebbe bene che il Governo, durante la maratona di questi giorni, delineasse una prospettiva di rinascita fondata soprattutto sullo sviluppo produttivo e sul rilancio di competitività dell’Italia nel suo insieme. 

L’obiettivo sostanziale dovrebbe essere quello di tornare a generare sistematicamente valore aggiunto, ricollocandosi nelle catene globali del valore, a cominciare dai mercati europei, attraverso un’opera di radicale innovazione volta al miglioramento delle infrastrutture e della sostenibilità ambientale, all’aumento della capitalizzazione e dell’efficienza delle imprese, all’avanzamento dei processi digitali e dell’intelligenza artificiale applicati all’industria. In questo contesto, è chiaro che prevarrebbero sugli altri, anche dal punto di vista finanziario, gli interventi per la ricerca e gli investimenti, per la produttività e l’occupazione. A grappolo, poi, si potrebbero dispiegare le iniziative specifiche negli ambiti di azione prioritari, evitando di mettere tutte le scelte sullo stesso piano per ragioni di mero consenso. 

Lo scenario è simile a quello tracciato nel Country Study redatto nel 1949 dall’ECA, che ammonì l’Italia per la carenza di un programma di sviluppo, invitandola a incrementare le industrie e incoraggiare l’iniziativa privata. Dopo quella critica, fu cambiata rotta e, completata la ricostruzione, si riuscì a compiere il “miracolo economico”. Come allora, il nostro Paese dovrebbe non solo darsi una strategia di lunga lena, ma indirizzare le sue principali energie nel capovolgimento di ogni ritualità e logica consolidata di funzionamento. Quello che in un’altra epoca Charles Sanders Peirce chiamava pragmatismo, nel senso della coerenza tra i propositi e i fatti, oggi è definito in termini di delivery ed execution, cioè, propensione a ottenere un risultato “bell’e fatto”, seguendone l’intero percorso dalla trasmissione degli obiettivi fino alla concreta realizzazione. Si tratta di una rivoluzione semplice, del mutamento di fondo di cui si avverte l’assoluta esigenza. 

Per destare fiducia, rispondendo positivamente alla prova di responsabilità che gli italiani, nella loro grande maggioranza, hanno dato durante il momento più grave della pandemia, occorre un’altrettanto nitida dimostrazione di competenza e attendibilità da parte delle forze dirigenti del Paese. Il tema delle semplificazioni e, più in generale, delle riforme rappresenta la sfida sul campo che si deve condurre per rendere fattibili progetti e decisioni. In sintesi, occorre stabilire un’unica rapida forma autorizzativa delle iniziative private e spostare le relative procedure di verifica dalle fasi di partenza a quelle in itinere o finali, legandole ai risultati. Così come è urgente un’eccezionale discontinuità nel meccanismo della pubblica amministrazione, orientandola alla soluzione dei problemi e all’attuazione effettiva dei programmi. Basterebbero queste due sole grandi novità per contribuire al potenziamento dello Stato contro le sempre più insistenti spinte centrifughe e all’impegno di cittadini e imprese contro le persistenti incrostazioni del corporativismo, riuscendo finalmente ad avviare un processo di modernizzazione dell’Italia. 

Luigi Einaudi, nel primo messaggio di Capodanno (del 1949) di un Presidente della Repubblica, affermò che: “Se ancora aspro è stato per molti il cammino percorso nell’anno, se i riflessi della tragedia vissuta dalla Patria non sono stati ancor tutti rimossi e se gravi problemi tuttora attendono soluzione, giova riconoscere che il popolo italiano ha perseguito concorde e tenace l’opera della ricostruzione; sicché è lecito guardare con fiducia all’avvenire, che sarà quale noi stessi lo avremo maturato e meritato”. Spetta alle istituzioni e ai loro rappresentanti indicare la strada di un nuovo inizio, per costruire il destino di progresso ed equità che il Paese merita.

 

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