Perché il piano della ripresa non può rallentare
Amedeo Lepore - Il Mattino
Il Wall Street Journal ha dedicato un editoriale al “ritorno dell’economia dopo il lockdown”. In realtà, il quotidiano d’oltreoceano ha semplicemente registrato i dati confortanti del terzo trimestre di quest’anno, che mostrano un notevole rimbalzo negli Stati Uniti (+33,1% del Pil), come è avvenuto in Italia (+16,1%) e Unione Europea (+12,1%), seppure con un incremento di minori dimensioni. Anche la flessione nel secondo trimestre era stata di diversa portata in USA (-31,4%), Italia (-13%) e UE (-11,4%), spiegandosi così i differenti livelli di recupero. L’economia e le imprese, una volta avviata una quasi normalità, hanno dimostrato generalmente resilienza e capacità di reazione agli impatti della pandemia.
La percezione di una ripresa ravvicinata in base a questi risultati parziali deve fare i conti, però, con la caduta della crescita ancora da rimontare, con le debolezze strutturali presenti anche nei Paesi più avanzati e, soprattutto, con la seconda ondata del virus, che sta colpendo estesamente le economie globali. In questo frangente, una visione realistica non può affidarsi a previsioni improbabili, frutto di una sottovalutazione dei gravi problemi di questa fase. Perciò, i Governi dovrebbero essere in grado di rispondere alla recrudescenza dell’emergenza sanitaria, con provvedimenti adeguati a tutelare la salute delle persone e la tenuta della società, costruendo fin da ora una salda prospettiva economica per il post-Covid. Infatti, solo un nuovo modello industriale, che permetta alle imprese e all’occupazione produttiva di riprendersi e dispiegare la loro forza, può guidare il futuro prossimo dell’economia. In Italia, quindi, assume importanza cruciale il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ovvero il programma di investimenti che occorre presentare alla Commissione Europea per il Next Generation EU. I timori di un ritardo sono probabilmente infondati, poiché il nostro Paese ha approvato per primo la proposta di linee guida e il Ministro per gli Affari Europei ha già avviato i colloqui con Bruxelles per la preparazione del piano definitivo.
Tuttavia, la procedura per le ratifiche nazionali del Recovery Fund è molto complicata e rischia di spostare in avanti la partenza di questa straordinaria operazione, che prevede l’impiego di 750 miliardi di euro, destinando all’Italia 63,8 miliardi in sovvenzioni e 127,6 miliardi in prestiti, oltre ad altri fondi (pari a 17,2 miliardi). Mentre il “quantum” di questa manovra non può essere decurtato, i tempi di utilizzo delle risorse sono molto incerti e potrebbero slittare oltre i primi mesi del 2021. Per queste ragioni, va accelerata la definizione dei grandi progetti strategici da far scaturire dalle sei missioni (digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute) e dalla ventina cluster previsti dal programma italiano. Questa scelta presuppone che si dia seguito ad alcuni aspetti essenziali della relativa azione del Governo. Innanzitutto, i progetti devono avere un’anima unitaria ed essere sottratti alla mediazione politica, incarnando esigenze strutturali del Paese. Poi, la governance deve assicurare un livello adeguato di coordinamento delle iniziative, superando la penosa disarticolazione tra istituzioni nazionali e territoriali, sintomo di una fragilità del sistema.
La distribuzione dei finanziamenti tra sovvenzioni (grants) e prestiti (loans), inoltre, assorbendo anche spesa altrimenti incapiente, non funge da contropartita per gli interventi di coesione e sviluppo. Deve dare vita, invece, a investimenti innovativi soprattutto nel Mezzogiorno, concepito come questione legata alla competitività dell’intero Paese e non come un semplice problema di equità. Se l’urgenza dell’azione dello Stato preme e l’attuazione delle misure europee rallenta, il tema del debito pubblico non può essere rinviato alla necessaria riforma del patto di stabilità, ma esige un’attenzione immediata per contenere le spese improduttive e potenziare il denominatore della crescita. Infine, è indispensabile una metrica condivisa tra riforme e investimenti, connettendo l’iniziativa pubblico-privata per infrastrutture e industria con i comportamenti concreti, richiesti dalle raccomandazioni dell’UE, per cambiare la giustizia e la pubblica amministrazione. Al tempo che rischia di perdersi per le procedure di ratifica si può abbinare il tempo che si guadagna avviando il programma di ripresa nazionale e coordinandolo con le strategie europee.
Amedeo Lepore
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