24 marzo 2024   Articoli

Globalizzazione un modello anti-chiusure

Amedeo Lepore - Il Mattino

Amedeo Lepore - Professore ordinario di Storia Economica - Università della Campania Luigi Vanvitelli

Il termine “globalizzazione” solitamente viene impiegato per indicare le modalità con cui le innovazioni tecnologiche, la produzione e gli scambi hanno contribuito a rendere il pianeta uno spazio sempre più connesso e interdipendente, con effetti di enorme portata economico-sociale. 

Secondo altre accezioni, di carattere marcatamente ideologico, questa espressione si sovrappone a un modello economico definito, prevalso in una determinata epoca: come è avvenuto nel periodo del neoliberismo, identificato a torto con la globalizzazione. Tuttavia, questa curvatura nell’uso del vocabolo allontana l’interpretazione del relativo fenomeno sia dalla realtà dei fatti che dal contesto storico ed economico di riferimento. 

Di fronte a un mondo sempre più complesso e, talvolta, inestricabile nelle sue contraddizioni, la valutazione sullo stato della globalizzazione rappresenta un’essenziale bussola per avventurarsi in previsioni sul futuro prossimo venturo. Il rallentamento di questo processo o la sua diramazione in varie direzioni non significa la fine dell’intreccio tra le sorti di una parte dell’economia e della società mondiali e quelle delle altre parti. 

Bisogna fare attenzione a non cadere nel “recency bias”, che per gli economisti comportamentali consiste nella tendenza a lasciarsi influenzare dalla vicinanza di un evento nel tempo, sovrastimandone il valore e non considerando l’importanza di un passato più remoto. Anche negli aspetti più inquietanti, come il terrorismo o le guerre in corso, si colgono la dimensione geostrategica globale e i rischi per l’intera umanità di un loro ampliamento. 

Dall’avvio del conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina nel 2018, si è diffusa la persuasione della chiusura di una fase storica e dell’inversione di tendenza verso una “deglobalizzazione”. Eppure, Richard Baldwin, rinomato esperto di teoria e politica economica globale, ha osservato che, seppure l’idea di apertura dell’economia sia stata messa in discussione da una lunga serie di rotture e crisi (Brexit, protezionismo di Trump, pandemia, invasione russa in Ucraina, guerra nel Medio Oriente, tensioni geoeconomiche), il commercio mondiale di beni si è ripreso dalle conseguenze rovinose del Covid-19 e quello di servizi continua a progredire senza oscillazioni. 

Joe Seydl e Zidong Gao di J.P. Morgan hanno mostrato come, nonostante le divergenze specifiche di alcuni Paesi, stia aumentando il rapporto tra il commercio mondiale di beni e la produzione industriale globale. Inoltre, sebbene il totale delle importazioni statunitensi dalla Cina sia precipitato a causa dei dazi, le esportazioni cinesi di prodotti tecnologici di interesse strategico per il mercato americano si mantengono solide. Gli autori concludono notando che “la globalizzazione rimane intatta”, malgrado i grandi traumi degli ultimi anni, grazie alla flessibilità delle catene globali di approvvigionamento. 

Larry Elliott del Guardian, a sua volta, ha scritto che “la globalizzazione non è morta e nemmeno allo stremo”, ma semplicemente sta diventando più localizzata. Ralph Ossa, poi, ha affermato che il sistema commerciale multilaterale ricopre un ruolo fondamentale per edificare “un mondo più sicuro, inclusivo e sostenibile” e che la “riglobalizzazione”, capace di estendere l’integrazione economica a molte più realtà dello scenario internazionale, ha conosciuto un incremento in questa fase. 

Egli, pur convenendo che la concorrenza delle importazioni dalla Cina, ad esempio, ha procurato non poche difficoltà ai lavoratori statunitensi, ha sostenuto che l’apertura commerciale può coniugarsi con l’inclusione economica, senza accentuare le disuguaglianze. 

A questo proposito, un recente articolo dell’Economist ha riportato uno studio secondo cui la globalizzazione, a differenza di quanto propugnano in molti, potrebbe non avere alimentato disparità di reddito e indigenza. Prima della pandemia e, precisamente, nel 2019, la Banca Mondiale contava 659 milioni di persone che vivevano con meno di 2,15 dollari al giorno rispetto ai 2 miliardi circa del 1990: questo miglioramento, però, potrebbe avere implicato un costo in termini di precariato e insicurezza sociale. 

Altre informazioni, di tenore del tutto diverso, sono fornite dal World Inequality Database, costruito da Thomas Piketty e Gabriel Zucman per stimare le grandi ricchezze. I due economisti hanno rilevato che la disuguaglianza tra le nazioni si è ridotta, anche per l’ascesa dei Paesi emergenti, mentre i divari interni sono cresciuti. Un nuovo studio di alcuni economisti della Columbia University e della Federal Reserve ribalta quest’ultima convinzione, evidenziando che la povertà “è diminuita più rapidamente di quanto si pensasse” e l’ineguaglianza all’interno dei Paesi non solo non è aumentata, ma si è perfino attenuata. 

Anziché un precariato, a parere di Maxim Pinkovskiy, Xavier Sala-i-Martin, Kasey Chatterji-Len e William H. Nober, sta formandosi una “vera classe media globale”, che sarebbe in grado di scongiurare le più consistenti ristrettezze provocate da nuove crisi finanziarie e pandemie. 

Se questa impostazione innovativa fosse confermata da altre ricerche sulla distribuzione del reddito a livello globale, si potrebbe guardare al prossimo futuro con maggiore fiducia e alla globalizzazione come un percorso ininterrotto. Alcuni ritengono che l’avvenire sarà costituito da un mondo di “thin globalism”, ovvero da un sistema commerciale con relazioni più intense tra Paesi che la pensano allo stesso modo e “più sottili” con quelli che presentano discordanze ideologiche e di regime politico. 

In ogni caso, la globalizzazione, intesa come strumento di connessione e interdipendenza, non scomparirà dall’orizzonte dell’umanità e servirà a lenirne le tentazioni di chiusura e di drastica contrapposizione.

Argomenti
Economia

Firma ora il manifesto

Il futuro del Sud è inscritto nel futuro d’Italia e d’EuropaLo sviluppo del Mezzogiorno e il superamento definitivo della questione meridionale è oggi più che mai interesse di tutta l’Italia.
* campi obbligatori

Seguici sui social