Un'agenzia europea del debito
Amedeo Lepore - Il Mattino
L’assillo di Mario Draghi per affrontare il rincaro esorbitante dell’energia attraverso “un intervento di ampia portata”, con l’aumento della produzione di gas, lo sconto in bolletta alle famiglie e il contenimento dei prezzi a carico di imprese ed enti territoriali, senza ricorrere ad altro debito, è motivato da uno scenario generale, che rischia di sfuggire anche agli osservatori più attenti. Per non parlare dell’insistenza di alcune forze politiche ad aprire nuove partite in deficit.
Infatti, al tema della transizione ambientale ed energetica, si affiancano le altrettanto decisive materie dell’impennata inflazionistica e dell’aumento a dismisura del debito pubblico in numerosi Paesi. Barry Eichengreen, Asmaa El-Ganainy, Rui Esteves e Kris James Mitchener hanno pubblicato di recente un libro dal titolo “In defense of public debt”, in cui descrivono la storia del debito pubblico, sostenendo come abbia svolto un ruolo essenziale per permettere ai governi di affrontare le emergenze, compresa l’ultima legata alle conseguenze della pandemia. Pur sfatando vecchi miti negativi, gli autori non mancano di suggerire la strada da seguire per superare l’estremo indebitamento odierno, una volta usciti dalla crisi.
È probabile, tuttavia, che questo argomento sia più attuale di quanto appaia, combinandosi con altri fattori di crisi: le sofferenze economiche, come scrive Martin Wolf parafrasando l’Amleto di Shakespeare, non arrivano da sole, ma in battaglioni. La ripresa di una crescita dello spread, in questo periodo, ha effetti significativi sul bilancio pubblico, in termini di maggiori interessi da pagare, e sull’economia, in rapporto al calo delle risorse disponibili per politiche espansive. Finora, questo fenomeno è stato arginato grazie al massiccio programma di acquisto di titoli pubblici da parte della Bce, che, di fronte a un’inflazione persistente, si è data una prima scadenza a marzo per la riduzione di questi impegni, con il rischio, già percepito dai mercati, di un innalzamento del costo del denaro.
Nei giorni scorsi, Joseph E. Stiglitz ha affermato che, anche se nessuno è in grado di indovinare cosa accadrà con l’inflazione, “non c’è motivo di reagire in modo avventato con ampi aumenti generalizzati dei tassi di interesse”. Eppure, il Financial Times nota che il debito pubblico globale è salito a 226 trilioni di dollari, con più della metà di questo incremento associato a prestiti governativi, mentre il rapporto tra questo debito e il Pil è balzato al 99%. Quindi, forse ha ragione Raghuram G. Rajan, secondo il quale siamo alla fine dell’economia dei “pasti gratis”, a meno che non si valutino i vantaggi e gli svantaggi delle diverse strategie e vi sia un effetto moltiplicatore della spesa per investimenti. Comunque, è certo che una spesa irragionevole e senza regole è altrettanto dannosa di un mercato senza principi. Anche per questo motivo, Macron e Draghi hanno avviato a gennaio un’iniziativa per la riforma dei vincoli fiscali europei, allo scopo di non restare in balìa delle turbolenze finanziarie o prigionieri di un irrimediabile rigonfiamento del debito pubblico.
A questo proposito, dopo la Rivista di Politica Economica che se ne era interessata all’inizio del 2019, oggi tornano a occuparsi del debito pubblico italiano Astrid e lavoce.info, che stanno dedicando notevole attenzione al problema. In particolare, diversi economisti, tra cui Francesco Giavazzi e Charles-Henry Weymuller, hanno proposto di rivedere il Patto di stabilità e crescita e di creare un’Agenzia europea del debito, per assorbire il passivo accumulato dai vari Paesi durante la pandemia. Ne deriverebbe un beneficio sia per l’attenuazione del costo del finanziamento sia per la sostenibilità del debito all’interno della Ue, oltre che per le stesse operazioni della Banca Centrale.
In questo quadro, per rassicurare chi è preoccupato della mutualizzazione dello stock di debito a livello europeo, Massimo Amato, Carlo Favero e Francesco Saraceno hanno proposto un’Agenzia che si finanzi sul mercato emettendo obbligazioni. Così, si potrebbero far pagare i costi differenziali ai meno virtuosi, attraverso una diversa configurazione dei rischi, che non incorra in azzardo morale. D’altro canto, Giuliano Amato, Franco Bassanini, Marcello Messori e Gian Luigi Tosato, partendo dal modello del Next Generation Eu, hanno indicato la necessità di fissare obiettivi, quantitativi e qualitativi, di politica fiscale e di composizione della spesa da raggiungere in un arco decennale, favorendo gli investimenti secondo il criterio della golden rule. Questo dibattito dovrebbe uscire dall’ambito, pur insostituibile, dell’approfondimento scientifico di alcune élites, per irrorare il campo di un confronto diffuso nella società e di scelte informate nella politica.
Affidarsi solo alla lungimiranza di Draghi, che ci ha sorretto finora, può condannarci alla mancanza di coraggio e di responsabilità al cospetto di prove decisive. E, in questo caso, il pasto sarebbe pagato da chi meno può permetterselo.
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