31 maggio 2020   Articoli

Una prospettiva globale per una Caserta del futuro

Intervista ad Amedeo Lepore di Luigi Nunziante - Il Poliedro

Amedeo Lepore - Professore ordinario di Storia Economica - Università della Campania Luigi Vanvitelli

Professor Lepore, come definirebbe la crisi che ora stiamo vivendo?

La crisi economica che stiamo attraversando è una crisi particolare. A differenza della recente crisi iniziata tra il 2007 e 2008, nata all’interno del sistema economico per ragioni finanziare, quella attuale è una crisi “esogena”, che nasce dall’esterno a causa di un morbo che si è diffuso rapidamente che per altro è stata sottovalutata nei suoi effetti. All’inizio si diceva che era un problema della Cina, poi della Cina e dell’Italia, salvo infine rendersi conto poi che si trattava un problema mondiale. Una pandemia che ha avuto gravissime conseguenze sulla salute, sulla sanità, sulla vita sociale, con ricadute economiche molto pesanti. Occorre perciò un nuovo approccio: bisogna maturare la consapevolezza che è accaduto un evento dalle molte facce, straordinario, inaspettato e imprevedibile per i suoi complessi aspetti e per i suoi effetti.

Concretamente su quali aspetti della vita ha influito questo evento?

Prima di tutto è una crisi che ha riguardato la sanità per una fase non breve. Ancora oggi il tema fondamentale è assicurare il diritto alla salute e alla vita delle persone, una priorità ineludibile.

Un secondo aspetto riguarda la risposta alle conseguenze del Covid-19, che non è stata un vaccino, un farmaco, impossibile da produrre in tempi brevi, ma un contenimento sociale di massa per evitare la diffusione del morbo, il cosiddetto lockdown. Il terzo elemento è quello classico: la pandemia ha comportato la caduta delle attività economiche. Nel passato, con altre crisi anche per quelle di tipo sanitario, l’economia, l’attività produttiva, le relazioni sociali non furono interrotte. Si pensi ad esempio alla grande epidemia denominata “spagnola”, che si verificò tra il 1918 e il 1920, un evento esterno che colpì una parte della popolazione, anche se con ben circa 65 milioni di morti. Oggi con l’isolamento e il contenimento abbiamo avuto la completa chiusura della gran parte delle attività produttive. Dopo tre mesi, si sta avendo una lenta ripresa delle attività, ma gli strascichi saranno di medio e lungo termine.

Quale è allora il problema più grande che ci troviamo ad affrontare?

La vera questione, a mio avviso, è l’intreccio dei problemi che si sono prodotti. Si avverte la necessità di affrontare, allo stesso tempo, i temi della sanità e i problemi delle marginalità sociali che sono stati aggravati da questa crisi, dando risposte alla povertà, e creando le condizioni più adatte per convivere con questo morbo, anche attraverso lo sviluppo di applicazioni che permettano di controllare l’andamento dell’epidemia. L’Italia stava appena uscendo dalla crisi che l’aveva attanagliata: questo evento pandemico è un colpo pesante a un’iniziale ripresa. Per questa ragione, di fronte ad un evento imprevedibile, con conseguenze su vari piani, da quelli sanitari a quelli economici occorre un approccio integrato, complessivo, di carattere “sistemico”. Non sarà semplice, ma io sono fiducioso, perché convinto che le donne e gli uomini del nostro Paese, di fronte a prove difficili, sono capaci di risollevarsi, Dopo la guerra l’Italia si è rialzata con le proprie forze!

Uno sguardo all’Europa: guardando le misure che gli Stati Uniti e la Cina stanno adottando in queste settimane, come vede la differenza tra questi due giganti e il nostro vecchio continente?

Nello scenario geo-politico mondiale le risposte date da singole aree, da micro regioni o singoli Stati non hanno senso. Occorre ragionare in termini di grandi dimensioni unitarie e non di piccoli spazi territoriali, che sono in competizione l’uno con l’altro. L’idea dei sovranismi e dei nazionalismi più chiusi è stata spazzata via dalla stessa crisi. Il “disaccoppiamento” tra Stati Uniti e Cina non è un bene. La possibilità di uscita dalla crisi ha un solo nemico, il virus, e richiede uno sforzo di dimensioni sovranazionali, se non globali.

L’Europa potrebbe essere schiacciata dalle due principali potenze in competizione. Il pericolo è stato reale. Oggi scontiamo un ritardo pregresso, una debolezza strutturale dell’Europa che, sia sul piano economico sia sul piano politico, ha subito colpi nel suo processo di integrazione. Tuttavia, mi pare che la reazione al coronavirus stia rafforzando l’idea che occorre dare risposte a livello europeo, mettendo in campo risorse imponenti. Le azioni massicce della Banca Centrale Europea, insieme alle misure adottate dalla Commissione Europea, hanno una dimensione mai vista in precedenza. Il tema più importante, però, resta il piano per la ripresa, sul quale vi sono ancora troppe timidezze e contraddizioni. La proposta Macron-Merkel di prevedere un recovery fund di 500 milioni per sostenere investimenti e iniziative di grande portata è sicuramenete un passo in avanti, che va consolidato e de esteso con scelte ancora più coraggiose. C’è una dialettica troppo accesa. Per intenderci, la Germania non è nemica dell’Europa, anzi ha bisogno degli altri paesi, come gli altri paesi hanno bisogno della Germania. Posizioni insormontabili non ve ne possono essere. Vedo l’Europa in divenire: le forze che hanno a cuore le sorti di una prospettiva unitaria stanno crescendo e devono adottare strumenti comuni e anche l’Italia deve continuare a dare un contributo di questo tipo, sconfiggendo l’ipotesi di ripiegamento al suo interno e di distacco dall’unico orizzonte possibile, quello europeo.

Su quali grandi progetti avviare la ripresa?

Sostegno alle fasce più deboli e al reddito, immissione di liquidità nel sistema sono stati una risposta necessaria, soprattutto nella prima fase. Ma ora senza investimenti produttivi di grandi dimensioni è impossibile una ripresa delle attività produttive e dell’occupazione, rimettendo in moto la macchina economica del paese. Solo in questo modo il peso del debito pubblico, che sarà gravosissimo, e l’obiettivo della piena ripresa di tutti i settori produttivi e di un recupero dei livelli lavorativi, così duramente colpiti, potranno essere sopportati. Se non si riavvia la produzione il nostra sistema rischia di essere soffocato dal debito e dalla competizione internazionale.

Come descriverebbe la situazione e le prospettive della Campania e del Mezzogiorno in questo momento?

Il Mezzogiorno è una priorità fondamentale dell’Italia. Non vedo una distinzione tra Nord e Sud nella ripresa, ma una necessaria integrazione e interdipendenza. Il Nord ha avuto il danno più grave, perché è lì che è collocata la parte più importante dell’apparato produttivo italiano. Al tempo stesso, il Sud è l’area che può consentire il salto di continuità e l’innovazione necessaria al paese, perché qui si possono attrarre nuovi investimenti, si può realizzare un “green new deal”, cioè un’economia che sia al contempo sostenibile, circolare e in grado di contemperare il rispetto dell’ambiente con un nuovo tipo di organizzazione dei processi produttivi fondati su materiali, tecnologie e prodotti del tutto inediti.

La Campania è la regione più importante del Mezzogiorno. Per alcuni anni è cresciuta notevolmente; le politiche produttive e la scelta di far diventare investimenti e imprese l’elemento essenziale per creare opportunità di lavoro duraturo e di nuova prosperità deve essere la principale finalità da perseguire.

Infine uno sguardo su Caserta: il nostro territorio riuscirà a recuperare quel divario prodotto da anni di crisi industriale, fortemente penalizzato oggi anche da questa crisi? Quali strategie da approntare?

Caserta ha conosciuto una fase di grande evoluzione, facendo parlare addirittura di una area tecnologica all’avanguardia in Italia, con industrie molto avanzate. Oggi, dopo alcuni decenni di dismissioni, si avverte la necessità per questo territorio di una crescita che riprenda quelle radici, ma una crescita non meramente localistica. Occorre prima di tutto un rapporto più intenso tra le grandi aree metropolitane (Caserta, Napoli, Roma), fattibile con una migliore integrazione del sistema dei trasporti, dopo l’impulso straordinario fornito dall’alta velocità. E poi non si può ripartire in base a vecchi stilemi, ma occorre guardare ai settori più avanzati che possono innovare la loro presenza e la loro capacità produttiva sul territorio: aerospazio, autotrasporto e agroalimentare possano farsi carico del compito di condurre una nuova fase di industrializzazione. Imprese considerate “gazzelle”, anche di fronte a questa crisi, possono riuscire a trainare l’intero sistema, facendosi carico di costruire una rete, un’aggregazione di attività, in termini di maggiori dimensioni produttive, che può rappresentare una prospettiva per il futuro. Naturalmente, questo scenario si lega all’attività di ricerca scientifica e al trasferimento tecnologico, che sono fattori indispensabili per un nuovo modello di sviluppo. Creazione di capitale umano e creazione di capitale produttivo sono due fattori che rappresentano un elemento scatenante delle potenzialità di questo territorio. Di fondamentale importanza per la Caserta del futuro è il ruolo delle istituzioni, lo spirito e la capacità imprenditoriale, l’impegno e la partecipazione dei lavoratori alle scelte di fondo, l’iniziativa dalle persone in carne ed ossa che hanno combattuto la mala pianta della camorra e hanno ridato dignità a questa terra. Un contributo fondamentale potrà essere dato anche dalle realtà associative e dalle stesse comunità religiose, che sono forze aggregative, forze positive che lanciano un messaggio per guardare in avanti. Su queste basi il rinascimento dell’antica Terra di Lavoro può diventare una realtà.

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