Povertà, la linea Meloni e i ritardi della sinistra
Emanuele Imperiali - Corriere del Mezzogiorno
Apre il cantiere Reddito di Cittadinanza. Il governo di Giorgia Meloni ha deciso, inserendo i primi passi della riforma nella legge di Bilancio 2023. Il prossimo sarà un anno di manutenzione straordinaria: la metafora del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti rende bene l’idea di un work in progress. La misura fu varata dal primo governo Conte nel 2019, per volontà dei Cinquestelle, ma la Lega di Salvini era in maggioranza e non si oppose, ed è costata a regime circa 8 miliardi l’anno. Cosa prevede la riforma del centro destra? Nel 2023 i circa 680mila tra 18 e 59 anni senza avere a carico minori o anziani, considerati perciò occupabili, manterranno il Reddito per non più di 8 mesi, ma ad alcune condizioni. Dovranno partecipare a corsi di formazione, risiedere in Italia, non rifiutare neppure un lavoro. Nuove domande di sussidio non saranno accettate. Invece poveri, inabili, anziani continueranno a usufruire pienamente dell’assegno fino alla fine dell’anno. Dal 2024 questi ultimi saranno assistiti con una nuova forma di sussidio. E contestualmente sarà avviata, finalmente su binari separati, una nuova politica attiva del lavoro.
Oltre tre milioni e mezzo di persone in tutt’Italia, di cui due milioni e 400mila circa solo al Sud, concentrati in particolare in Campania, regione nella quale i percettori del sussidio sono più di 860mila, a settembre scorso hanno incassato il Reddito di Cittadinanza: in media 617 euro. In gran parte concentrati nell’hinterland napoletano e nel capoluogo, prima area provinciale italiana per numero di persone coinvolte, oltre 411mila, con sussidi medi ancor più elevati che si aggirano attorno ai 635 euro.
Certo, i rischi non mancano, quando ad agosto i poco più di 495mila occupabili al Sud resteranno senza sussidio. Avendo basse qualifiche nella stragrande maggioranza dei casi e pochissime se non nulle competenze tecnologiche e linguistiche, riusciranno a trovare un lavoro? L’interrogativo vero da porsi è, c’è un’offerta per queste persone? La Svimez ha snocciolato in questi giorni alcuni dati in base ai quali, tra coloro che erano occupabili, meno di 200mila sono stati presi in carico dai Centri per l’Impiego nel Mezzogiorno o avviati a un tirocinio.
Questi numeri forniscono le esatte dimensioni di una misura costosissima quanto del tutto inefficace per trovare un lavoro a tantissimi giovani, alcuni dei quali hanno scelto di trascorrere le loro giornate al bar, alternandole con lavoretti al nero, guadagnando così più di tanti operai che svolgono attività anche pesanti spesso per più di otto ore al giorno. Indubbiamente un sussidio a vita ai giovani era ed è improponibile a qualsiasi latitudine e non era ipotizzabile neppure negli anni di vacche grasse in cui i Paesi scandinavi avevano sistemi socialdemocratici di welfare invidiati dappertutto. Il Corriere del Mezzogiorno non da oggi ha sollecitato, anche recentemente durante il governo Draghi, controlli più incisivi sui destinatari di questi fondi pubblici, finiti in qualche caso, per fortuna sporadico, perfino a truffatori e camorristi, perché non sono stati mai incrociati i dati dei Comuni con quelli dell’INPS e della Agenzia delle Entrate. Ciò non toglie in ogni caso valore a uno strumento, grazie al quale circa 750mila persone nelle sole regioni meridionali sono state sottratte a una condizione ineludibile di povertà.
Questo avvio di un cantiere per una riforma epocale è stato aperto da un governo di centro destra per l’insipienza e i timori di una sinistra che a parole si proclama riformista ma poi nei fatti si limita a scegliere una politica che accontenti tutti finendo per scontentare chiunque. L’interrogativo va posto in particolare a quella sinistra meridionale che ha finito per accettare questa misura acriticamente in pubblico, pur muovendo più di una perplessità nelle conversazioni private. Inseguendo ancora una volta i grillini che ne hanno fatto il loro vessillo, lucrando un per certi versi inaspettato consenso politico al Sud a favore dei Cinquestelle nel corso della recente campagna elettorale. Farsi, invece, portabandiera di una riforma complessiva del Reddito di Cittadinanza, limitandolo a poveri, anziani, malati, inabili al lavoro, ma anche a coloro, che non per proprie colpe, sono messi ai margini del mercato, realizzando contestualmente un sistema efficiente e moderno di avviamento a un’occupazione vera, che è altra cosa da un sussidio, poteva diventare l’icona di una sinistra riformista che sia davvero tale non solo a parole ma nei fatti concreti.
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