Nessuno indebolisca la forza produttiva del Sud
Federico Pirro - La Gazzetta del Mezzogiorno
Gli sgravi contributivi del 30% sul costo del lavoro concessi alle imprese insediate nel Mezzogiorno nel Decreto legge di agosto - pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 15 - costituiscono una misura sicuramente utile, che però assumerebbe valenza strutturale se fosse prolungata nel tempo, perché al momento sarebbe limitata al periodo 1° ottobre - 31 dicembre 2020. Il Governo comunque, previo consenso della Commissione Europea, vorrebbe prolungarla sino al 2029 sia pure con un décalage nell’agevolazione, che resterebbe al 30% sino al 2025, scendendo al 20% sino al 2027, e poi al 10% nel biennio residuo.
Ma un forte rilancio economico dell’Italia meridionale avrebbe bisogno, a nostro avviso, di molte altre risorse il cui impiego tuttavia dovrebbe impegnare con formulazioni molto rigide - che prevedano anche il loro definanziamento - non solo i vari Ministeri di spesa, ma anche le Regioni e i Comuni del Mezzogiorno - per quanto di rispettiva competenza - perché non sono rari i casi in cui cospicui finanziamenti stanziati dal Governo e dall’Unione Europea non si sono poi impiegati, o lo sono stati con grande lentezza, a causa di inefficienze degli apparati amministrativi di molti Enti locali meridionali: insomma, il Paese ha bisogno di un Sud efficiente e non eternamente assistito e, soprattutto, di un meridionalismo inflessibile contro i persistenti ritardi di parti delle classi dirigenti del Mezzogiorno.
Ad esempio, una marcata accelerazione - come quella impressa dalla Ministra De Micheli alle grandi opere nazionali - ai lavori pubblici locali, già finanziati con risorse ministeriali ed europee, delle loro progettazioni e dei rispettivi appalti, sarebbe decisamente auspicabile, anche prevedendo (ad horas, se del caso), poteri sostitutivi di Autorità Centrali dello Stato rispetto a Regioni, Comuni e Città metropolitane che risultassero in grave ritardo nell’impiegare in finanziamenti ottenuti. Così come sarebbe auspicabile che le grandi imprese pubbliche (Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri, Terna, FS) ma anche quelle private accelerassero gli investimenti programmati nell’Italia meridionale, a condizione (però tassativa), che ottengano in tempi certi e ristretti tutte le autorizzazioni necessarie da chiunque rilasciate, soprattutto in sede di valutazioni di impatto ambientale.
E che dire poi delle vicende del Gruppo Ilva e del suo sito di Taranto che si stanno trascinando oltre ogni limite di sopportabilità da parte dei suoi addetti e delle aziende dell’indotto, a causa delle pesanti difficoltà di mercato di Arcelor Mittal e delle indecisioni di un Esecutivo che non sembra ancora avere assunto una posizione definita in merito al ruolo di azionista (se di maggioranza o minoranza) dello Stato nella società con i franco indiani ?
Ma ancor prima di proporre altri programmi per il Sud da finanziare con le risorse del Recovery Fund - o almeno insieme alla loro stesura e successiva attuazione - perché non si compie, fra l’altro, un’accurata ma rapida verifica in sede di Ministero dello sviluppo economico sulle conseguenze che potrebbero produrre anche per l’industria automotive nell’Italia meridionale le scelte dei nuovi piani industriali di Stellantis, la futura società che nascerà dalla fusione fra il Gruppo Peugeot e quello della FCA ?
Le notizie circolate negli ultimi giorni secondo cui alcuni nuovi modelli della Casa torinese verrebbero prodotti su piattaforme già esistenti della Peugeot, ma non in Italia, con il possibile spostamento delle subforniture da talune aziende insediate anche nel Sud ad altre di nazionalità francese - scelta industriale peraltro comprensibile nella logica di un nuovo grande gruppo che andrà ad integrare su scala sovranazionale le attuali fabbriche dei due partner - crea però forti preoccupazioni fra gli addetti ai lavori, perché le supply chain localizzate nel Meridione al servizio non solo dei suoi siti di assemblaggio, ma anche di altri stabilimenti nel Nord, sono abbastanza diffuse sotto il profilo territoriale, occupano migliaia di addetti diretti e indiretti, e in molti casi appartengono anche a società settentrionali ed estere.
Il comparto automotive nel Mezzogiorno include grandi fabbriche di autoveicoli a S.Nicola di Melfi (PZ), Pomigliano d’Arco e Atessa (CH) e tantissime aziende non solo locali, ma anche di multinazionali (TD Bosch, Marelli Calsonic Kansei, Adler, Bridgestone, Skf, Magna, Dana, Denso Manufacturing, TI Automotive, Pilkington, Dayco, Pierburg, solo per citarne alcune) produttrici di varia componentistica.
E si salvaguardino anche le attività estrattive già in essere in Basilicata, in Val d’Agri e a Tempa Rossa - così come quelle in Sicilia dell’Eni - che invece un emendamento al decreto semplificazione, se approvato, potrebbe affossare definitivamente con danni incalcolabili per l’occupazione nel settore, l’industria impiantistica nazionale, gli Enti locali che percepiscono le royalties, e la stessa bilancia energetica del Paese che sarebbe costretto ad importare maggiori quantità di quelle stesse risorse minerarie che, invece, non potrebbe più estrarre in Italia. Ma stranamente di questo pericolo incombente, la Svimez e i Meridionalisti d’antan (e di professione) non parlano: perché mai ?
Insomma, ancora una volta si faccia molta attenzione in sede governativa perché - mentre si progettano programmi di interventi di varia natura sicuramente necessari nelle regioni meridionali, ma che dovrebbero imprimere un forte impulso anche all’economia del Nord - non si indeboliscano poi le rilevanti capacità produttive che sono già insediate nel Sud, e in buona parte delle quali negli ultimi anni si sono investite - mediante contratti di sviluppo di Invitalia e contratti di programma della Regione Puglia - quote elevate di risorse pubbliche per ammodernarle e renderle sempre più competitive.
Federico Pirro - Università di Bari
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