La svolta storica del debito buono
Amedeo Lepore - il Mattino
Le valutazioni espresse da Mario Draghi negli ultimi mesi aiutano a capire l’ispirazione del modello di politica economica per il prossimo futuro del Paese. Il rapporto dal titolo “Reviving and Restructuring the Corporate Sector post-Covid. Designing Public Policy Intervention”, frutto di una commissione del “Gruppo dei Trenta” guidata da lui e dall’economista Raghuram Rajan, contiene indicazioni per i Governi su come affrontare il periodo della post-pandemia. Draghi, presentando questo documento nel dicembre scorso, ha affermato la necessità di cambiare impostazione nel sostegno all’economia pena l’aggravamento della crisi, poiché “il problema è peggiore di quanto appaia in superficie, visto che il massiccio afflusso di liquidità e la confusione indotta dalla natura senza precedenti di questa crisi stanno offuscando la percezione della reale portata delle incognite”. In un approccio di “cauto realismo”, i Governi avrebbero dovuto aggiustare la mira prontamente, indirizzandosi verso provvedimenti di carattere strutturale con lo sguardo volto al lungo termine e allo sviluppo.
Uno degli obiettivi principali di questa correzione di rotta è l’esigenza perdurante di incoraggiare l’investimento dei privati nelle imprese per concorrere al loro rilancio, evitando il ricorso a un debito eccessivo e a una proliferazione di insolvenze, soprattutto delle piccole e medie imprese. Inoltre, di fronte a un aumento generalizzato della spesa pubblica, in un regime di tassi prossimi allo zero, risulta di fondamentale importanza il modo in cui ciascuno Stato utilizza le proprie risorse per far ripartire l’economia (l’ormai famoso “debito buono”). Un comportamento giudizioso è la modalità migliore per scongiurare la diffusione di crediti deteriorati e un rovinoso credit crunch.
Dopo queste raccomandazioni, che suggerivano di abbandonare le misure di supporto indifferenziato a favore di interventi finalizzati, in grado di risollevare l’economia nel suo insieme, l’Italia si è attardata in un tentativo inane di copertura di ogni falla, senza riuscirvi mai pienamente. Così si è smarrita la bussola, è iniziata la crisi politica e siamo arrivati a questo momento, che in tanti sperano possa essere di svolta. Con la formazione del Governo Draghi, vengono al pettine i nodi del Piano di ripresa italiano, finora solo abbozzato, e dell’opera che va messa rapidamente in campo per le riforme. Secondo Draghi, l’opportunità europea di investire in programmi di alto valore economico e sociale, ma anche di elevato rendimento, è irripetibile e, per questa ragione, la qualità dei progetti specifici per il Recovery Plan e la velocità della loro attuazione sono aspetti determinanti delle scelte del nuovo Governo. Il Presidente del Consiglio incaricato, davanti alle tre emergenze della sanità, della società e dell’economia, ha ribadito che i fondi europei dovranno essere impiegati “con saggezza e intelligenza”, adottando iniziative di welfare adeguate per contenere il disagio sociale, ridando impulso all’apparato produttivo e creando occupazione stabile attraverso gli investimenti in settori con convenienti prospettive di crescita.
Detti in questo modo possono sembrare impegni di massima, ma è nell’attitudine all’ascolto e alla sintesi, mostrata da Draghi fin dalle consultazioni, e nella sua predilezione per un’azione concreta sorretta da una visione di ampio respiro, che affondano le radici di un metodo del tutto nuovo, per nulla propenso alla transazione fine a sé stessa e alla perdita di tempo prezioso. Del resto, il suo assillo è quello secondo cui “privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”. Il mutamento inevitabile di paradigma, che può inaugurare l’ingresso in una “nuova era”, comporterà effetti di ampia durata e, auspicabilmente, la riconfigurazione del sistema politico, istituzionale ed economico-sociale. Le “riforme buone” saranno il perno della sua attività, provando a scardinare il coagulo di interessi particolari e personalismi che hanno bloccato l’Italia per decenni. E proprio un “tecnico” singolare e autorevole potrebbe contribuire a rianimare le sorti della politica, ridotta a ombra di una funzione democratica capace di determinare le strategie nazionali. Questo scenario di “distruzione creatrice”, alla ricerca di assetti inediti e di soluzioni coerenti a problemi complessi della società, dell’economia e delle tecnologie, può ridare fiducia nel tentativo di costruzione di un’Italia più giusta e moderna. Può permettere una scommessa su un Paese che ha la consapevolezza e l’abnegazione necessarie per cogliere una imperdibile occasione di nuovo inizio.
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