Recovery, il rischio paralisi
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
Un Piano che punta in modo più deciso sui fattori chiave dello sviluppo, che presenta una migliore definizione delle linee di intervento da attuare e mostra una esplicita consapevolezza della centralità del Mezzogiorno per la crescita dell’economia italiana nel suo insieme: questi, in sintesi, i punti di forza del nuovo Recovery Plan presentato dal Governo Draghi. Un risultato importante che presenta però ancora un punto debole: la struttura di governance per la realizzazione degli interventi, che appare poco incisiva.
Ma andiamo con ordine. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) vale ora complessivamente oltre 235 miliardi di euro, di cui 191.5 finanziati dalla Recovery and Resilience Facility (RRF), 13.5 da React EU e 30.4 da un Fondo complementare nazionale appositamente costituito per integrare le risorse europee su alcuni progetti. Concentrandoci sui 191.5 miliardi provenienti dalla RRF, si colgono bene le modifiche più significative rispetto alla bozza lasciata dal Governo Conte2.
Prima di tutto, la riallocazione operata su missioni e componenti che costituiscono il Piano. La riduzione consistente che viene apportata allo stanziamento per l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati (in parte recuperata nell’ambito del Fondo complementare) libera risorse per il finanziamento di altri più importanti interventi. Penso per esempio all’incremento degli stanziamenti a favore di investimenti maggiormente efficaci nel dare respiro strutturale e di lungo periodo al percorso della transizione verde: sviluppo di reti energetiche intelligenti, interventi per la mobilità sostenibile, sperimentazione dell’idrogeno, perseguimento di una leadership internazionale industriale e di ricerca nelle filiere della transizione. Così come penso all’aumento delle dotazioni per la connettività del Paese (banda ultra-larga e 5G) e per sostenere l’innovazione delle imprese, nonché per la ricerca e il suo trasferimento tecnologico ai processi produttivi. Molto significativo è poi il forte aumento di risorse sull’istruzione per potenziare edilizia e dotazione di strumenti didattici dei nostri istituti, asili nido e scuole dell’infanzia, recupero dell’abbandono scolastico e lotta alla povertà educativa, qualità delle nostre università. E penso, infine, all’incremento della dotazione per gli interventi di rigenerazione urbana e di housing sociale.
Altre voci sono rimaste sostanzialmente invariate ma la loro articolazione interna in linee di intervento mostra una migliore definizione delle azioni da attuare. E’ questa in generale la seconda novità positiva del nuovo PNRR, che andrà però vagliata a fondo quando saranno disponibili le schede che forniscono il dettaglio di ogni singola linea di azione.
Saranno poi sempre le schede a permettere di valutare nel merito quali interventi avranno un impatto più diretto sul Mezzogiorno, traducendo in realtà l’impegno dichiarato a destinarvi il 40% della RRF. Le premesse sembrano esserci: la riallocazione delle risorse che ho sintetizzato sopra va in direzioni che sono fondamentali per il futuro dell’economia e della società meridionali e che valorizzano potenzialità presenti nel nostro Sud. Reti energetiche per dare sbocco alle energie rinnovabili prodotte nel Mezzogiorno, sperimentazione dell’idrogeno, impatto degli investimenti nella mobilità sostenibile sulla filiera dell’automotive meridionale, reti di telecomunicazione per la connettività di tutto il territorio nazionale, piano asili nido e scuole dell’infanzia, rigenerazione urbana e housing sociale, solo per fare alcuni esempi.
Continuano peraltro a essere assenti anche nel nuovo PNRR alcune linee di azione importanti, come il rifinanziamento del Credito d’imposta per gli investimenti al Sud e uno stanziamento più consistente per gli impianti di chiusura del ciclo rifiuti. Su questi e su altri temi – come reti idriche e depurazione, logistica e portualità, manutenzione delle infrastrutture esistenti - sarà ora necessario lavorare per integrare le risorse di Next Generation EU con altre risorse nazionali e comunitarie.
Il principale punto di debolezza, come dicevo all’inizio, sta nella poco incisiva struttura di governance per l’attuazione del Piano. La realizzazione degli interventi è demandata a Ministeri, Regioni e Comuni in relazione alle rispettive competenze. Il coordinamento centrale è affidato alla Ragioneria Generale presso il Ministero dell’economia, dove è stata costituita una unità di missione per monitorare la spesa e rendicontare alla Commissione Europea. Una Cabina di Regia in Presidenza del Consiglio verificherà lo stato di avanzamento del Piano e proporrà le azioni correttive. Tutto giusto, intendiamoci, salvo che resta indefinita la “catena di comando”, ossia i poteri della Cabina di Regia e le articolazioni amministrative che possano dare seguito operativo alle sue decisioni.
In un Paese ad elevata conflittualità istituzionale come il nostro, il rischio della paralisi è sempre dietro l’angolo, specialmente nel Mezzogiorno. Rafforzare la governance del PNRR sarà quindi il passaggio decisivo per dare gambe reali al progetto di rinnovamento di cui l’Italia ha bisogno.
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