L’Italia e il Mezzogiorno al bivio: non sprecare il Recovery Fund
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
La nebbia in cui sono ancora avvolte le linee di fondo con cui il nostro Paese si candida a utilizzare le risorse del Recovery Fund e la contraddittorietà tra le prese di posizione di esponenti della maggioranza (per non parlare dell’opposizione) succedutesi nelle settimane scorse, suggeriscono di dedicare la riapertura settembrina di questa rubrica a proporre qualche punto fermo e a mettere in guardia da possibili abbagli.
Il primo è che le risorse del Recovery Fund devono essere pensate come aggiuntive e non sostitutive delle risorse che il bilancio pubblico nazionale dedica agli investimenti. Solo così i fondi europei si configurano come una spinta straordinaria alla ricostruzione delle basi strutturali della crescita italiana. Se dovessero finire per sostituire le risorse nazionali, l’effetto sulla ripresa della nostra economia sarebbe pressocché nullo. Ma non solo. Il taglio in bilancio delle risorse per investimenti significherebbe creare lo spazio per un aumento di spese correnti o una riduzione di imposte che un domani, una volta esaurite le risorse del Recovery Fund, ingesserebbe il bilancio azzerando le disponibilità future per investimenti pubblici.
Il secondo è che per superare il vaglio della Commissione Europea la proposta che l’Italia avanzerà non potrà essere la mera sommatoria dei progetti che si stanno raccogliendo da Ministeri, Regioni, Enti Locali, ma dovrà fare delle scelte di priorità e organizzare la richiesta di fondi alla UE intorno ad alcuni assi che siano qualificanti della direzione di marcia che il Governo intende imprimere all’economia italiana. Ed è un bene che una simile condizione venga posta dall’Unione Europea, perché è solo così che la massa di risorse messa a disposizione dal Recovery Fund potrà gettare le basi per una nuova fase di sviluppo del nostro Paese.
Questo non significa che si debba optare solo per “grandi opere”, ma che si dovranno coordinare i progetti – che in certi casi potranno consistere anche di un insieme di interventi puntuali – in modo che convergano nel perseguimento degli obiettivi che qualificano il disegno complessivo. E’ quanto vale per esempio per un asse strategico come la competitività del sistema produttivo, al cui interno potranno trovare posto sistemi di incentivo all’investimento delle imprese del tipo sperimentato con Industria 4.0 e con il Credito d’imposta Sud. Ma vale anche per un asse come il sistema di trasporti e logistica necessario a connettere tutto il Paese e che passa non solo per i grandi interventi – come, limitandomi a un solo esempio, la linea ferroviaria Napoli-Bari – ma anche per tutti quegli interventi di minor entità che sono necessari a completare i collegamenti e la rete territoriale complessiva. Così come vale per l’asse strategico clima-energia, dove ai grandi investimenti infrastrutturali si aggiungono gli interventi puntuali per l’efficienza energetica o lo sviluppo delle rinnovabili o la mobilità sostenibile.
Ed è in questo quadro strategico che dovrà trovare collocazione esplicita, e trasversale a tutti gli assi di programmazione, l’obiettivo del superamento del divario territoriale Nord-Sud, che costituisce un fattore di freno delle potenzialità di sviluppo del Paese: perché, come ci insegna la politica di coesione europea, una crescita stabile e duratura di ogni Stato membro e del Continente nel suo insieme richiede l’interazione attiva tra tutte le aree che lo compongono. E qui si deve essere consapevoli che lo sviluppo del Mezzogiorno passa per investimenti, investimenti, investimenti: la questione centrale è lo sblocco degli investimenti pubblici e il sostegno a quelli privati.
Riguardo al primo tema, si riparta dagli obiettivi e dagli strumenti messi in campo con i Patti per il Sud firmati nella scorsa legislatura: certo per andare più avanti, ma senza dimenticare che essi avevano cominciato a sbloccare molti interventi e che è stato un errore di questa legislatura abbandonarli al tran tran burocratico. Riguardo agli investimenti privati, è al loro sostegno che deve prioritariamente rivolgersi la richiesta alla UE di applicare una fiscalità di vantaggio, incrementando gli incentivi del Credito d’imposta Sud combinati con quelli di Industria 4.0 e dando finalmente attuazione concreta alle Zone Economiche Speciali.
Resta poco più di un mese per presentare a Bruxelles la strategia italiana e i progetti che la compongono. Vale perciò il grido d’allarme lanciato due giorni fa su queste colonne da Enzo D’Errico: “l’occasione offerta dal Recovery Fund per ridisegnare il volto dell’Italia e, in particolare, del Mezzogiorno” non può andare sprecata perché “il futuro non suona due volte”.
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