Stellantis, fusione giusta. Gli impianti del Sud snodo centrale
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
La nascita di Stellantis dalla fusione di FCA e PSA: un’operazione necessaria per dare un futuro ai due gruppi originari nel contesto del mercato automobilistico mondiale; un’operazione a trazione manageriale francese, di cui misurare le implicazioni per il settore automotive nel nostro Paese e per la quota di produzioni, rilevante, dislocata nel Mezzogiorno; un’operazione che richiede un salto di qualità della politica industriale italiana ed europea.
Operazione necessaria, perché la globalizzazione sempre più spinta del mercato dei mezzi di trasporto su gomma allarga i confini della competizione internazionale ed esige dalle imprese del settore un aumento della propria dimensione produttiva e finanziaria, che consenta di mettere meglio a frutto le possibili economie di scala e di gamma. Non a caso, analoghi processi di aggregazione sono da tempo in corso tra i maggiori produttori di automobili, comprese le precedenti operazioni Fiat-Chrysler e Peugeot-Citroen-Opel. La fusione formalizzata in queste settimane colloca Stellantis tra le maggiori multinazionali del settore, condizione necessaria per poter continuare ad essere protagonista di un mercato mondiale che si avvia verso una configurazione industriale guidata da pochi grandi gruppi in concorrenza oligopolistica tra loro.
Operazione a trazione manageriale francese, perché a fronte di una quota azionaria di maggioranza relativa (14,4%) in mano alla Exor della famiglia Agnelli sta una prevalenza del management ex-Peugeot, sintetizzata dalla leadership di Carlos Tavares, manager peraltro di indubbie qualità, come CEO del nuovo gruppo. Del resto, per quanto analogamente alla tradizione Fiat anche quella Peugeot sia di un’azienda indipendente dal controllo pubblico, non può essere sottovalutato il fatto che la somma delle quote riconducibili alla famiglia Peugeot e allo Stato francese sia pressocché pari a quella Exor, se non addirittura maggiore secondo le ultime indiscrezioni.
Naturalmente, nel caso di una grande corporation il riferimento a una qualche appartenenza nazionale potrebbe sembrare poco significativo. E in parte sicuramente lo è. Ma, pur senza enfatizzare troppo questo aspetto, credo sia bene essere consapevoli del rilievo che radici culturali e costumi di vita hanno sulle scelte imprenditoriali. E’ giusto perciò che l’attenzione agli interessi italiani sia un banco di prova sul quale misurare, nel prossimo futuro, il senso di responsabilità della famiglia Agnelli verso il proprio Paese d’origine.
Ad oggi colpisce invece la mancata interlocuzione, nel rispetto dei diversi ruoli, con il Governo italiano, dove quest’ultimo peraltro ha brillato a sua volta per l’assenza di qualsiasi strategia di politica industriale. Un’assenza grave, se si pensa al peso del settore automotive nell’economia italiana (55 mila dipendenti FCA e circa 200 mila addetti alle imprese fornitrici) e al ruolo trainante che esso svolge sui processi di innovazione industriale. E particolarmente grave con riferimento al Mezzogiorno, dove si trova il 37% degli addetti alla produzione di autoveicoli e il 20% dei lavoratori della componentistica, e dove la filiera dell’automotive costituisce, insieme con altre (come le 4A+Pharma analizzate negli studi di SRM), la parte più dinamica dell’economia meridionale.
Il Piano industriale da 5 miliardi di investimenti presentato da FCA nel 2018, e tuttora in fase di realizzazione, punta sull’introduzione di modelli a trazione elettrica o ibrida sia a Melfi che a Pomigliano e a Cassino e alla conseguente evoluzione dei motori prodotti negli altri stabilimenti del Sud, nonché sul potenziamento dei programmi di veicoli a guida autonoma e intelligente già avviati, come per esempio nello stabilimento di Atessa. Programmi questi decisivi per preparare gli impianti italiani ad essere protagonisti della nuova fase che sta aprendosi e che trarrà spinta ulteriore dalla strategia del Green Deal europeo.
Può esserci il rischio che questo percorso si interrompa, mentre esso va caso mai potenziato. Sappiamo che Peugeot è in vantaggio rispetto a FCA nella mobilità elettrica e ibrida, mentre FCA è più avanti sulla guida autonoma: la partita che si apre ora è quella di far prevalere un interesse reciproco a sviluppare queste tecnologie in modo equilibrato tra tutti gli stabilimenti del nuovo gruppo.
Ed è qui che la politica industriale può e deve finalmente svolgere il suo ruolo: sta al Governo italiano rendere attrattivo investire nel nostro Paese, curando (senza stupide penalizzazioni) la transizione graduale verso la mobilità sostenibile, incentivando ricerca e sviluppo, rafforzando la logistica. E sta al Governo italiano sollecitare una politica industriale europea che, nel quadro del Green Deal, assicuri le condizioni affinché i produttori europei giochino al meglio la loro partita nell’arena globale.
Seguici sui social