Il Governo sullo scoglio Meridione e Recovery Fund
Claudio De Vincenti - Corriere del Mezzogiorno
Al di là delle loro motivazioni più strettamente politiche, il duro confronto e le linee di frattura che percorrono l’esecutivo evidenziano come l’utilizzo di Next Generation EU costituisca una sorta di momento della verità per la maggioranza di Governo. E se da questa strettoia si riuscisse a uscire con un chiarimento che superi le tante ambiguità, accumulatesi tra i partiti che la compongono, riguardo alla politica di sviluppo di cui il Paese ha bisogno, persino questa strana crisi non sarebbe stata inutile.
Guardiamo allora al merito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) come si va configurando in base ai documenti che sono in circolazione. L’ultimo in ordine di tempo, ossia la tabella delle allocazioni di fondi consegnata alle forze di maggioranza giovedì scorso, corregge una precedente versione apportando alcuni miglioramenti.
Risulta per esempio più contenuta, per quanto ancora presente, la dispersione delle risorse in interventi minuti. Viene proposto un primo aumento, pur insufficiente, degli investimenti infrastrutturali. Crescono le risorse per la sanità. Si comincia a delineare un qualche collegamento con i progetti del Fondo sviluppo e coesione e dei Fondi strutturali europei.
Quest’ultimo punto, contrariamente all’interpretazione data da qualche commentatore, non c’entra nulla con la rivendicazione di quote da riservare al Mezzogiorno, ma risponde all’esigenza di coerenza e complementarietà tra i vari fondi sottolineata più volte dalla Commissione Europea. Al riguardo, nell’impostazione che la Commissione ha dato per l’utilizzo di Next Generation EU, l’obiettivo della coesione territoriale non si persegue con l’attribuzione di percentuali definite ex ante a prescindere dai progetti che si è in grado di realizzare, ma deve costituire un filo rosso che traversa tutte le missioni e i programmi di cui si comporrà il PNRR.
Restano però anche nella nuova bozza vistose debolezze. Mi limito qui a evidenziare un equivoco e alcuni sottodimensionamenti di programmi che sarebbero decisivi per il futuro del Paese e molto importanti per il Mezzogiorno.
L’equivoco riguarda il taglio operato sugli incentivi di natura automatica di Industria 4.0, accompagnato da un incremento di quelli sottoposti a discrezionalità amministrativa: ai fini della crescita, i primi sono molto più efficaci dei secondi e l’operazione da fare doveva essere semmai quella opposta.
Tra i sottodimensionamenti più gravi, segnalo prima di tutto quello riguardante il credito d’imposta per gli investimenti al Sud, una misura di incentivazione automatica che sarebbe essenziale per portare, sommandosi, Industria 4.0 nel Mezzogiorno: nulla si prevede nel Recovery Plan, mentre la Legge di bilancio stanzia solo 2 miliardi, contro i 19 che il PNRR assegna, peraltro giustamente, a Industria 4.0. Restano poi sottodimensionati investimenti infrastrutturali fondamentali: messa in sicurezza di strade, viadotti e ponti, interventi di cui vi sarebbe assoluto bisogno; logistica e portualità, che costituiscono la via maestra per dovrebbe consentire all’Italia, e in particolare al Mezzogiorno, di essere protagonista degli scambi europei e mediterranei; impianti di chiusura del ciclo rifiuti e risanamento delle reti idriche, temi fondamentali per la tutela dell’ambiente; rigenerazione urbana, questione dirimente per il futuro delle nostre città. Così come, incredibilmente, manca del tutto il capitolo delle bonifiche e del rilancio produttivo dei siti industriali dismessi o in crisi.
Se si pensa che gli stanziamenti su interventi minuti e incentivi discrezionali raggiungono nel PNRR una somma compresa tra i 20 e i 40 miliardi, è chiaro che le risorse per correggere queste lacune non mancherebbero. Il problema è che probabilmente alcune componenti della maggioranza non amano né gli investimenti pubblici in infrastrutture né il sostegno, libero da ingerenze politiche, agli investimenti delle imprese.
E’ questo il primo decisivo nodo che l’attuale maggioranza di Governo deve decidersi a sciogliere. Il secondo riguarda la governance del Piano, essenziale sia per elaborare che per realizzare i progetti che dovranno comporlo. In un suo recente documento, Assonime ha indicato una soluzione semplice e chiara, che non pretende di esautorare le amministrazioni ordinarie ma che le integra e le sostiene con una catena di comando e con procedure e corsie preferenziali essenziali per attuare gli interventi.
Il fatto è che questa (o altre soluzioni) richiedono che venga sciolto un secondo decisivo nodo: ridare alla politica la funzione generale di indirizzo e di impulso – che è cosa ben diversa dall’ingerenza nella gestione – e al tempo stesso ridare dignità alla funzione tecnica di un’amministrazione che andrà valutata per quanto saprà realizzare, rompendo la ragnatela delle comode resistenze.
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